Le parole di Papa Francesco

La resurrezione di Lazzaro: non c’è nessun limite alla misericordia di Dio

Gesù «gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. E il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Così Francesco: «Questo grido perentorio è rivolto ad ogni uomo, perché tutti siamo segnati dalla morte, tutti noi; è la voce di Colui che è il padrone della vita e vuole che tutti “l’abbiano in abbondanza”. Cristo non si rassegna ai sepolcri che ci siamo costruiti con le nostre scelte di male e di morte, con i nostri sbagli, con i nostri peccati. Lui non si rassegna a questo! Lui ci invita, quasi ci ordina, di uscire dalla tomba in cui i nostri peccati ci hanno sprofondato. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della prigione in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoistica, mediocre. “Vieni fuori!”, ci dice, “Vieni fuori!”. È un bell’invito alla vera libertà, a lasciarci afferrare da queste parole di Gesù che oggi ripete a ciascuno di noi».Un invito a lasciarci liberare dalle “bende”, dalle bende dell’orgoglio. Perché l’orgoglio ci fa schiavi, schiavi di noi stessi, schiavi di tanti idoli, di tante cose. La nostra risurrezione incomincia da qui: quando decidiamo di obbedire a questo comando di Gesù uscendo alla luce, alla vita; quando dalla nostra faccia cadono le maschere – tante volte noi siamo mascherati dal peccato […] e noi ritroviamo il coraggio del nostro volto originale, creato a immagine e somiglianza di Dio».

Allo stesso tempo, la resurrezione di Lazzaro mostra «fin dove può arrivare la forza della Grazia di Dio, e dunque fin dove può arrivare la nostra conversione, il nostro cambiamento. Ma sentite bene: non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti! ricordatevi bene questa frase. E possiamo dirla insieme tutti: “Non c’è alcun limite alla misericordia divina offerta a tutti” […] Il Signore è sempre pronto a sollevare la pietra tombale dei nostri peccati, che ci separa da Lui, la luce dei viventi».

(dall’Angelus del 6 aprile 2014)

Le parole di Papa Francesco

Non rimanere “ciechi nell’anima”, ma aprirsi “alla luce, a Dio e alla sua grazia.

La nostra vita a volte “è simile a quella del cieco che si è aperto alla luce, a Dio e alla sua grazia”; a volte purtroppo “è un po’ come quella dei dottori della legge”, dei farisei, che sprofondarono "sempre più nella cecità interiore”: “dall’alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il Signore”. La riflessione di Papa Francesco all’Angelus ha preso spunto dall’episodio evangelico dell’uomo cieco dalla nascita, al quale Gesù dona la vista: alla fine, mentre i “presunti vedenti” continuano a rimanere ciechi, il cieco guarito “approda alla fede” ed è questa, ha detto il Pontefice, la “grazia più grande che gli viene fatta” da Cristo: “conoscere Lui, che è ‘la luce del mondo”.
“Oggi, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per portare frutto nella nostra vita, per eliminare i comportamenti che non sono cristiani”.
Eppure “tutti noi”, ha sottolineato il Santo Padre, abbiamo comportamenti alcune volte non cristiani, comportamenti che sono peccati”:
“Dobbiamo pentirci di questo ed eliminare questo comportamento per camminare decisamente sulla via della santità”.
L’evangelista Giovanni, ha ricordato il Papa, vuole dunque attirare l’attenzione proprio su ciò “che accade anche ai nostri giorni”:
“Tante volte un’opera buona, un’opera di carità suscita chiacchiere, discussioni perché ci sono alcuni che non vogliono vedere la verità”.
L’episodio del cieco nato, “che - ha aggiunto il Pontefice - fa vedere il dramma della cecità interiore di tanta gente, anche la nostra”, ci riconduce al Battesimo:
“Nel Battesimo noi siamo stati illuminati affinché, come ci ricorda San Paolo, possiamo comportarci come ‘figli della luce’, con umiltà, pazienza, misericordia”.
Il Papa ha quindi consigliato di rileggere il brano del capitolo 9 del Vangelo di Giovanni:
“Vi farà bene, perché così vedete questa strada dalla cecità alla luce e quell’altra strada cattiva verso una più profonda cecità. E domandiamoci: come è il nostro cuore? Com’è il mio cuore, com’è il tuo cuore, com'è il nostro cuore? Io ho un cuore aperto o un cuore chiuso? Aperto o chiuso verso Dio? Aperto o chiuso verso il prossimo? Sempre abbiamo in noi qualche chiusura nata dal peccato, nata dagli sbagli, dagli errori: non abbiamo paura, non abbiamo paura! Apriamoci alla luce del Signore: Lui ci aspetta sempre. Lui ci aspetta sempre. Per farci vedere meglio, per darci più luce, per perdonarci. Non dimenticate questo: Lui ci aspetta sempre”.
Il Pontefice ha quindi affidato alla Vergine Maria “il cammino quaresimale, perché anche noi, come il cieco guarito, con la grazia di Cristo possiamo ‘venire alla luce’, rinascere a vita nuova”.
Dopo la recita dell’Angelus, il Santo Padre ha salutato i fedeli presenti, tra cui i “militari italiani che hanno compiuto un pellegrinaggio a piedi da Loreto a Roma, pregando - ha detto - per la pacifica e giusta risoluzione delle contese”:
“Questo è molto bello: Gesù, nelle Beatitudini, dice che sono beati coloro che lavorano per la pace”.

(dall’Angelus del 30 marzo 2014)

Le parole di Papa Francesco

La misericordia del Signore è più grande dei pregiudizi. La «semplice richiesta di Gesù» (“Dammi da bere”), che ha meravigliato persino i discepoli, è l’inizio di un dialogo schietto, mediante il quale Lui, con grande delicatezza, entra nel mondo interiore di una persona alla quale, secondo gli schemi sociali, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgere la parola. Ma Gesù lo fa, eh! Gesù non ha paura, Gesù quando vede una persona va avanti, perché ama. Ci ama tutti. Non si ferma mai davanti ad una persona per pregiudizi!.

UN INCONTRO CHE CAMBIA LA VITA. Papa Francesco ha proseguito descrivendo come Gesù è stato di fronte alla situazione della Samaritana, non giudicandola ma facendola sentire considerata, riconosciuta, e suscitando così in lei il desiderio di andare oltre la routine quotidiana. Quella di Gesù «era sete non tanto di acqua, ma di incontrare un’anima inaridita; Gesù aveva bisogno di incontrare la Samaritana per aprirle il cuore: le chiede da bere per mettere in evidenza la sete che c’era in lei stessa. E la donna, che «rimane toccata da questo incontro, rivolge a Gesù quelle domande profonde che tutti abbiamo dentro, ma che spesso ignoriamo. Anche noi abbiamo tante domande da porre ma non troviamo il coraggio di rivolgerle a Gesù! La Quaresima, è il tempo opportuno per guardarci dentro, per far emergere i nostri bisogni spirituali più veri, e chiedere l’aiuto del Signore nella preghiera», chiedere, sull’esempio della Samaritana, «l’acqua che ci disseterà in eterno. Perché Gesù, è Uno che alla Samaritana ha cambiato la vita, perché ogni incontro con Gesù ci cambia la vita. Sempre. È un passo più avanti, un passo più vicino a Dio.

LA GIOIA DELLA TESTIMONIANZA. In questo Vangelo, troviamo anche noi lo stimolo a lasciare la nostra anfora, come ha fatto la Samaritana, che corse in città per raccontare la sua esperienza straordinaria. L’anfora, infatti, è il simbolo di tutto ciò che apparentemente è importante, ma che perde valore di fronte all’amore di Dio. E tutti ne abbiamo una o più di una. Io domando a voi, anche a me: “Qual è la tua anfora interiore, quella che ti pesa, quella che ti allontana da Dio? Lasciamola un po’ da parte e col cuore sentiamo la voce di Gesù che ci offre un’altra acqua, un’altra acqua che ci avvicina al Signore. Perché noi, siamo chiamati a riscoprire l’importanza e il senso della nostra vita cristiana, iniziata nel Battesimo e, come la Samaritana, a testimoniare la gioia dell’incontro con il Signore. Per questo, dobbiamo ripeterci queste parole: «Ogni incontro con Gesù ci cambia la vita e ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia».

Le parole di Papa Francesco

Oggi il Vangelo ci presenta l’evento della Trasfigurazione. E’ la seconda tappa del cammino quaresimale: la prima, le tentazioni nel deserto; la seconda: la Trasfigurazione. Gesù «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1). La montagna, nella Bibbia, rappresenta il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore. Lassù sul monte, Gesù si mostra ai tre discepoli trasfigurato, luminoso, bellissimo; e poi appaiono Mosè ed Elia, che conversano con Lui. Il suo volto è così splendente e le sue vesti così candide, che Pietro ne rimane folgorato, tanto che vorrebbe rimanere lì, quasi fermare quel momento. Subito risuona dall’alto la voce del Padre che proclama Gesù suo Figlio prediletto, dicendo: «Ascoltatelo» (v. 5). È molto importante questo invito del Padre. Noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole. Per ascoltare Gesù, bisogna seguirlo, come facevano le folle del Vangelo che lo rincorrevano per le strade della Palestina. Gesù non aveva una cattedra o un pulpito fissi, ma era un maestro itinerante, che proponeva i suoi insegnamenti lungo le strade, percorrendo tragitti non sempre prevedibili e a volte poco agevoli.

Da questo episodio della Trasfigurazione vorrei cogliere due elementi significativi, che sintetizzo in due parole: salita e discesa. Noi abbiamo bisogno di andare in disparte, di salire sulla montagna in uno spazio di silenzio, per ritrovare noi stessi e percepire meglio la voce del Signore. Ma non possiamo rimanere lì! L’incontro con Dio nella preghiera ci spinge nuovamente a “scendere dalla montagna” e ritornare in basso, nella pianura, dove incontriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, malattie ingiustizie, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo con loro i tesori di grazia ricevuti. Ma se non siamo stati con Dio, se il nostro cuore non è consolato, come potremo consolare?

Questa missione riguarda tutta la Chiesa, ed è responsabilità in primo luogo dei Pastori – i vescovi, i sacerdoti – chiamati a immergersi in mezzo alle necessità del Popolo di Dio, avvicinandosi con affetto e tenerezza specialmente ai più deboli e piccoli, agli ultimi. Ma per compiere con gioia e disponibilità quest’opera pastorale, i Vescovi e i sacerdoti hanno bisogno della preghiera dell’intera comunità cristiana. Rivolgiamoci ora alla nostra Madre Maria, e affidiamoci alla sua guida per proseguire con fede e generosità l’itinerario della Quaresima, imparando un po’ di più a “salire” con la preghiera e a “scendere” con la carità fraterna.

Dall’Angelus del 16 marzo 2014

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