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Pellegrinaggio parrocchiale a La Verna

 

 

Riportiamo parte di un paio delle tante testimonianze di questa giornata veramente speciale che ci è servita per una elevazione spirituale.

Una bella domenica vissuta in allegria da 88 persone!

La giornata ci ha sorriso: il cielo era di un azzurro bellissimo e l'aria, freschina la mattina, si è poi riscaldata e ci ha permesso di godere nel migliore dei modi quanto offriva il luogo di preghiera. La Messa concelebrata con i frati francescani, è stata rallegrata dai canti e dalla musica degli stessi frati. 30 frati francescani custodiscono la Basilica e i luoghi dove San Francesco ha vissuto, ha pregato, ha ricevuto le grazie dal Signore.

Anche noi abbiamo pregato e cantato davanti alla Basilica ai piedi della Croce che si erge semplice e maestosa nello spazio antistante la chiesa, uniti nel ringraziamento per quanto il Signore sempre ci regala. Bella la processione dell'Ora Nona fino alla Cappella delle Stimmate: le voci dei francescani hanno reso alta e unita la preghiera per tutti i partecipanti.

Gli stretti e scoscesi percorsi di accesso alle grotte e ai luoghi dove San Francesco amava sostare, che lui raggiungeva calandosi con delle corde, fanno riflettere tanto: a lui bastava la natura quasi selvaggia, ma molto bella, per incontrare Dio e già lì trovare il Paradiso.

E noi?!'.....forse abbiamo portato a casa solo un “pensiero” di santità!

E' bello pensare che ognuno di noi si sia almeno proposto di lasciarsi raggiungere dalla Luce che toccò San Francesco.

Aspettiamo il prossimo pellegrinaggio con gioia.

Grazie ai nostro Sacerdoti […]


[…]

Quello che mi è rimasto molto impresso è il Sasso Spicco.

Scendendo le scale che portano al precipizio a piombo sotto la rupe, l'acqua gocciola eterna dalle rocce e un enorme masso nella parte inferiore è appoggiato di spigolo alle pareti divise della rupe. Sotto questo masso San Francesco sostava e pregava intensamente.

Tutto il Santuario è un luogo mistico, che ti fa riflettere, suggestivo, dove si capisce l'isolamento di Francesco e dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

Ti entra nell'anima, luogo di pace, spiritualità e raccoglimento e tante altre cose, come le terrecotte invetriate di Andrea Della Robbia, il saio di San Francesco, la cappella di Sant'Antonio dove Francesco si ritirò in preghiera per 4 mesi, il giaciglio di pietra sopra il quale riposava, insomma un luogo veramente magnifico.

Siamo rientrati veramente felici e speriamo di rincontrarci per altri pellegrinaggi, ringraziando i nostri Padri.

Possiamo diventare “parenti” di Gesù

Nella casa in cui si trova, Gesù è assediato dalla folla, che non lascia, a lui e agli apostoli, neppure il tempo di mangiare; tutti ricorrono a lui per essere guariti dalle loro malattie: detto nel linguaggio e secondo le convinzioni di allora, per essere liberati dal demonio. Ne approfittano i suoi nemici, per sostenere che lui stesso è posseduto dal demonio, e “scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni”. Gesù fa rilevare l'assurdità di queste accuse: “Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso non potrà restare in piedi; se satana si ribella contro se stesso, è finito!” E aggiunge una frase di quelle “pesanti”, su cui riflettere seriamente. Dice: “Tutto sarà perdonato agli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno”. Bestemmiare contro lo Spirito significa ostinarsi a chiamare bene ciò che sappiamo essere male, e viceversa. Significa, in altri termini, negare ciò che la coscienza riconosce come giusto e vero. Chi persistesse in tale atteggiamento non potrebbe essere perdonato, non perché Dio non possa o non voglia farlo, ma perché l'uomo negherebbe anche la necessità e il desiderio di esserlo. Dio rispetta la libertà dell'uomo, e perciò non costringe nessuno ad accogliere i suoi doni. L'episodio narrato da Marco continua poi con un risvolto inatteso, che richiede anch'esso qualche chiarimento e offre un altro rilevantissimo motivo di riflessione. Gesù dunque è attorniato dalla folla, tanto che i nuovi arrivati non riescono ad avvicinarsi a lui, e qualcuno lo informa: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”. Il fatto che Gesù avesse fratelli e sorelle, e dunque sua madre, la sempre-vergine, abbia avuto figli oltre a lui, in passato è stato motivo di turbamento. In realtà non sarebbe stato il caso, se avessero considerato che i vangeli riflettono concetti e linguaggio di duemila anni fa e di una civiltà per tanti aspetti differente dalla nostra; scrivessero oggi, Matteo Marco Luca e Giovanni si esprimerebbero diversamente. Si è visto anche in questo stesso brano: chi allora era ritenuto posseduto dal demonio, oggi sarebbe detto semplicemente malato. E allora dicevano fratelli tutti i consanguinei, i parenti, gli appartenenti a uno stesso clan. È da notare piuttosto come risponde Gesù a chi gli segnala che i parenti lo cercano. Si chiede: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?” E guardandosi attorno, alla folla che lo assedia affidandosi a lui, dichiara: “Ecco mia madre, ecco i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”.
Questa risposta ha dato un dispiacere a qualche lettore dei vangeli, di quelli molto devoti verso la Madonna. Qualcuno l'ha intesa come uno sgarbo verso di lei, come se per lui non contasse, e l'ha associata alla risposta apparentemente brusca (“Donna, che vuoi da me?”) datale alle nozze di Cana. Forse che Gesù non volesse bene a sua madre? Assurdo, per mille ragioni che non è possibile esporre qui. È di maggiore rilevanza invece considerare quanto implicano le parole di Gesù: implicano l'affermazione che più importanti dei vincoli di sangue sono i vincoli elettivi, in particolare quelli derivanti da una stessa fede. E dunque, a tutti è possibile diventare “parente” di Gesù. La condizione è quella esposta: è una, è chiara. Essere cristiani significa cercare di tradurla nella propria vita.

mons. Roberto Brunelli

Festa della comunione, Dio dona se stesso

Nella cornice di una cena, la novità di Gesù: Dio non si propone più di governare l'uomo attraverso un codice di leggi esterne, ma di trasformare l'uomo immettendogli la sua stessa vita. La novità di un Dio che non spezza nessuno, spezza se stesso; non chiede sacrifici, sacrifica se stesso; non versa la sua ira, ma versa "sui molti" il proprio sangue, santuario della vita. In quella sera, cibo vita e festa sono uniti da un legame strettissimo. Spesso trasformiamo l'ultima Cena in un'anticipazione triste della passione che incombe, mentre Gesù fa esattamente il contrario: trasforma la cronaca di una morte annunciata in una festa, una celebrazione della vita. Quella cena prefigura la resurrezione, mostra il modo di agire di Dio: dentro la sofferenza e la morte, Dio suscita vita. E Gesù ha simboli e parole a indicare la sua morte ma soprattutto la sua infinita passione per la vita: questo è il mio corpo, prendete; e intende dire: vivetene! E mi sorprende ogni volta come una dichiarazione d'amore: "io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita".

Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Lo dice benissimo Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo. Con il suo corpo Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago, volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo passaggio. Con il suo sangue, ci comunica il rosso della passione, la fedeltà fino all'estremo. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.

Corpo e sangue, donati: ogni volta che anche noi doniamo qualcosa, si squarciano i cieli. Corpo e sangue, presi: ogni volta che ne prendo e mangio è la mia piccola vita che si squarcia, si trasforma e sconfina per grazia. Festa della comunione: a riportare nel mondo questa verità, a riscoprire questo immenso vocabolo è stato Gesù. Senso definitivo del nostro andare e lottare, del nostro piangere e costruire, «fine supremo fissato da Cristo stesso a tutta l'umanità è il dono della comunione» (S. Bulgakov). Che si estende ad abbracciare tutto ciò che vive quaggiù sotto il sole, i nostri fratelli minori, le piccole creature, il filo d'erba, l'insetto con il suo misterioso servizio alla vita, in un rapporto non più alterato dal verbo prendere o possedere, ma illuminato dal più generoso dei verbi: donare.

Padre Ermes Ronchi

La differenza cristiana: amarsi come ama il Signore

Un canto d'amore al cuore degli insegnamenti di Gesù. Una poesia dolcissima e profonda, ritmata sul lessico degli amanti: amare, amore, gioia, pienezza, frutti.... È il canto della nostra fede. Come il Padre ha amato me, io ho amato voi. Di amore parliamo come di un nostro compito. Ma noi non possiamo far sgorgare amore se non ci viene donato. Siamo letti di fiume che Dio trasforma in sorgenti.

Rimanete nel mio amore. Nell'amore si entra e si dimora. Rimanete, non andatevene, non fuggite dall'amore. Spesso all'amore resistiamo, ci difendiamo. Abbiamo il ricordo di tante ferite e delusioni, ci aspettiamo tradimenti. Ma Gesù ti dice: "arrenditi all'amore". Se non lo fai, vivrai sempre affamato. Gesù: il guaritore del tuo disamore.

Il mondo sembra spesso la casa dell'odio, eppure l'amore c'è, reale come un luogo. È la casa in cui già siamo, come un bimbo nel grembo della madre: non la può vedere, ma ha mille segni della sua presenza: «Il nostro vero problema è che siamo immersi in un oceano d'amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). L'amore è, esiste, circola, ed è cosa da Dio: amore unilaterale, a prescindere, asimmetrico, incondizionato.

Questo vi ho detto perché la vostra gioia sia piena. L'amore è da prendere sul serio, il Vangelo è da ascoltare con attenzione, ne va della nostra felicità, che sta in cima ai pensieri di Dio. Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Non semplicemente: amate. Ma fatelo in un rapporto di comunione, un faccia a faccia, una reciprocità.

E aggiunge la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come io vi ho amato. Amare come Cristo, che lava i piedi ai suoi; che non giudica nessuno; che mentre lo ferisci, ti guarda e ti ama; in cerca degli ultimi. Chiunque ami così, qualsiasi sia il suo credo, è entrato nel flusso dell'amore di Cristo, dimora in lui che si è fatto canale dell'amore del Padre.

Come lui ognuno può farsi vena non ostruita, canale non intasato, perché l'amore scenda e circoli nel corpo del mondo. Se ti chiudi, in te e attorno a te qualcosa muore, come quando si chiude una vena nel corpo.

Voi siete miei amici. Non più servi. Amico: parola dolce, musica per il cuore dell'uomo. Un Dio che da signore e re si fa amico, e teneramente appoggia la sua guancia a quella dell'amato. Nell'amicizia non c'è un superiore e un inferiore, ma l'incontro di due libertà che si liberano a vicenda. Perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga.

Quali frutti dà un tralcio innestato su una pianta d'amore? Pace, guarigione, un fervore di vita, liberazione, tenerezza, giustizia: questi nostri frutti continueranno a germogliare sulla terra anche quando noi l'avremo lasciata.

Padre Ermes Ronchi

Noi tralci, Lui la vite: siamo della stessa pianta di Cristo

Io sono la vite, quella vera. Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in lui, come figlio nella madre.

E il mio padre è il vignaiolo: Dio raccontato con le parole semplici della vita e del lavoro. Un Dio che mi lavora, si dà da fare attorno a me, non impugna lo scettro ma le cesoie, non siede sul trono ma sul muretto della mia vigna. Per farmi portare sempre più frutto.

E poi una novità assoluta: mentre nei profeti e nei salmi del Primo Testamento, Dio era descritto come il padrone della vigna, contadino operoso, vendemmiatore attento, tutt'altra cosa rispetto alle viti, ora Gesù afferma qualcosa di rivoluzionario: Io sono la vite, voi siete i tralci. Facciamo parte della stessa pianta, come le scintille nel fuoco, come una goccia nell'acqua, come il respiro nell'aria.

Con l'Incarnazione di Gesù, Dio che si innesta nell'umanità e in me, è accaduta una cosa straordinaria: il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore seme, il vasaio si è fatto argilla, il Creatore creatura.

La vite-Gesù spinge la linfa in tutti i miei tralci e fa circolare forza divina per ogni mia fibra. Succhio da lui vita dolcissima e forte.

Dio che mi sei intimo, che mi scorri dentro, tu mi vuoi sempre più vivo e più fecondo di gesti d'amore... Quale tralcio desidererebbe staccarsi dalla pianta? Perché mai vorrebbe desiderare la morte?

Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. Potare la vite non significa amputare, inviare mali o sofferenze, bensì dare forza, qualsiasi contadino lo sa: la potatura è un dono per la pianta. Questo vuole per me il Dio vignaiolo: «Portare frutto è simbolo del possedere la vita divina» (Brown). Dio opera per l'incremento, per l'intensificazione di tutto ciò che di più bello e promettente abita in noi.

Tra il ceppo e i tralci della vite, la comunione è data dalla linfa che sale e si diffonde fino all'ultima gemma. Noi portiamo un tesoro nei nostri vasi d'argilla, un tesoro divino: c'è un amore che sale lungo i ceppi di tutte le vigne, di tutte le esistenze, un amore che sale in me e irrora ogni fibra. E l'ho percepito tante volte nelle stagioni del mio inverno, nei giorni del mio scontento; l'ho visto aprire esistenze che sembravano finite, far ripartire famiglie che sembravano distrutte. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire.

Se noi sapessimo quale energia c'è nella creatura umana! Abbiamo dentro una vita che viene da prima di noi e va oltre noi. Viene da Dio, radice del vivere, che ripete a ogni piccolo tralcio: Ho bisogno di te per grappoli profumati e dolci; di te per una vendemmia di sole e di miele.

Padre Ermes Ronchi

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