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Sangue, polvere e splendore

La notte comincia con la prima stella, l'amore con il primo sguardo, il mondo nuovo con il primo samaritano buono. Che, senza mai parlare di Dio, lo rivela. Perché Dio non si dimostra, si mostra. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Una delle storie più belle al mondo, solo dieci righe di sangue, polvere e splendore. Un uomo scendeva, e guai se ci fosse un aggettivo: giudeo o straniero, ricco o povero. E' l'uomo, e tanto basta. Non ne sappiamo il nome, ma sappiamo il suo dolore: ferito, colpito, terrore e sangue, faccia a terra. Oggi il mondo intero scende da Gerusalemme a Gerico. Il primo che passa è un prete che lo scansa e passa oltre. Non passare oltre. Cosa c'è oltre l'uomo? Il nulla. Oltre il sangue di Abele non c'è niente, tantomeno Dio. Il sogno di un mondo nuovo distende le sue ali ai primi tre gesti del samaritano: lo vide, ne ebbe pietà, si fece vicino. Tutti termini di una carica infinita che grondano umanità. Vedere e lasciarsi ferire dalle ferite dell'altro. Fermarsi addosso alla vita che si scioglie nel sangue sulla strada. Toccare: si può toccare solo da vicino, facendosi “prossimo”. La compassione non è un istinto, è una conquista, e il samaritano sceglie di fermarsi, senza neppure sapere chi sia quell'uomo. E poi il racconto si fa rapido. Luca mette in fila altri sette verbi per descrivere un amore senza parole: versò, fasciò, caricò, portò, si prese cura, pagò. Fino al decimo verbo: ripasserò a saldare, se serve. Esagerato. Davvero incapace di calcolo, come Dio. Quell'uomo che scendeva da Geru­salemme a Gerico è fortunato. Perché l'esperien­za di essere amato gra­tuitamente, anche una sola volta nella vita, risana in profondità chi si sente calpestato nell'anima. Chi è il mio prossimo? Aveva chiesto il dottore della legge. Gesù gira la domanda: a chi sei prossimo tu? Il dottore aveva posto all'inizio un'altra questione, immensa: cosa devo fare per essere felice? Come si fa ad essere felici? Domanda conficcata nel cuore di tutti. E Gesù risponde: tu amerai; lo sai già. Tutto il futuro è qui, in un unico imperativo. Allora ama i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, rialzato, che hanno sofferto per te. Chi ti ha versato olio e vino sulle ferite, e affetto nel cuore. Non dimenticare mai chi ti ha soccorso e ha pagato per te. Li amerai con gioia, con festa, con gratitudine. E da loro imparerai: “Va' e anche tu fai così”. L'appuntamento con Dio, per tutti, è sempre sulla strada di Gerico. La vera differenza non è tra cristiani, buddisti, musulmani, ma tra chi si ferma accanto all'uomo bastonato a sangue e chi invece tira dritto. La notte comincia con la prima stella, l'amore con il primo sguardo, il mondo nuovo con il primo samaritano buono. Che, senza mai parlare di Dio, lo rivela. Perché Dio non si dimostra, si mostra.

padre Ermes Ronchi

Roccia e nido di Dio

Tutti i credenti possono essere roccia e chiave del nido di Dio, che è il suo cuore innamorato: roccia che dà sicurezza alla vita; chiave che apre le porte belle di Dio.
Oggi Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d'opinione: La gente, chi dice che io sia? L'opinione del­la gente è bella e incompleta: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di lu­ce, come Elia o il Battista; che sei bocca di Dio e bocca dei poveri.

Quanto bisogno di credere in qualcuno dai super poteri!

Ma Gesù non è semplicemente un profeta che ritorna, fosse pure il più grande. Bisogna cercare ancora: Ma voi, chi dite che io sia? Prima di tutto c'è un «ma voi», in opposizione a ciò che dice la gente. Voi non accontentatevi di ciò che sentite dire, non omologatevi al pensiero dominante.

Non offre risposte, Gesù, non distribuisce facili soluzioni, lui innesca domande; non dà lezioni, invita a cercare dentro di sè.

Ecco un maestro dell'esistenza che ci vuole tutti pensatori liberi, tutti poeti della vita; egli non indottrina nessuno, apre domande per stimolare risposte. E così, feconda nascite.

E Pietro risponde da innamorato, ne ha finalmente l'occasione: “Tu sei il Figlio del Dio vivente”. La vita, innanzi tutto. L'eternità. Qui in mezzo a noi.

Sei il figlio, vuol dire «tu porti Dio qui, fra noi. Tu fai vedere e toccare Dio, il Vivente, che fa vivere. Sei il suo volto, il suo braccio, il suo progetto, la sua bocca, il suo cuore».

Provo anch'io a rispondere: Tu sei per me crocifisso amore, l'unico che non inganna. Tu sei disarmato amore, che non si impone. Tu sei l'amore che vince. Tu sei indissolubile amore.

«Nulla mai, né vita né morte, né angeli né demoni, nulla mai né tempo né eternità, nulla mai ci separerà dall'amore» (Rom 8,38). Nulla, mai.

Poi i due simboli: a te darò le chiavi; tu sei roccia. Pietro, e secondo la tradizione i suoi successori, sono roccia per la Chiesa nella misura in cui continuano ad annunciare che Cristo è il Figlio del Dio vivente. Sono roccia per l'intera umanità se ripetono senza stancarsi che Dio è amore; che Cristo è vivo, vivo tesoro per tutti.

 Essere roccia, parola di Gesù che si estende a ogni discepolo: sulla tua pietra viva edificherò la mia casa. A tutti è detto: ciò che legherai sulla terra, i legami che intreccerai, le persone che unirai alla tua vita, le ritroverai per sempre. Ciò che scioglierai sulla terra: tutti i nodi, i grovigli, i blocchi che scioglierai, coloro ai quali tu darai libertà e respiro, avranno da Dio libertà per sempre e respiro nei cieli.

Tutti i credenti possono e devono essere roccia e chiave del nido di Dio, che è il suo cuore amante e innamorato: roccia che dà appoggio e sicurezza alla vita d'altri; chiave che apre le porte belle di Dio.

padre Ermes Ronchi

Corpo e spirito abbracciati

Quella sera tutti sono sfamati, tutti. Buoni e meno buoni, meritevoli e no. Ne sono degni? Ma che triste domanda! Non è da Gesù. Certo che no! Chi è degno di Dio? Dio non si merita, si accoglie, in un passo di danza a due.

Per i discepoli, quella sera, Gesù aveva fi­nito il suo lavoro. Aveva pre­dicato e nutrito il loro spirito, ed era sufficiente così.

Per Ge­sù no. Lui non riusciva ad a­mare l'anima senza amare i corpi. Corpo e Spirito abbracciati. Oggi non è la festa degli ostensori dorati, portati in processione, con l'ostia da venerare. Oggi celebriamo Cristo che viene a fare comunione con noi. E' Lui in cammino, Lui che percorre i cieli, Lui che mi chiede di mangiare quel Pane, e dice: ‘io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nella tua mente come sogno'. La vita vive di vita donata.

Vorrei essere uno dei cinquemila, quella sera, sul lago. Li invidio. E non per il pane e il pesce che non finiscono, ma per quel fascino che li ha presi e li tiene lì, che gli fa dimenticare l'ora, la distanza, la fame, la stanchezza.

Invidio quei cinquemila affascinati da qualcosa che solo Gesù ha, e nessun altro sa dare: lo ascoltano, brucia loro il cuore, riparte il motore della vita. Quel pane è fuoco gettato in mezzo a loro, è il cuore di Dio che si moltiplica in frammenti, come già il Fuoco di Pentecoste.

In quella sera infinita, il dialogo tra Gesù e gli apostoli è spiazzante: Mandali a comprare, dicono gli apostoli. Mentalità che è la nostra, razionale, logica. Niente di scandaloso, ma niente che voli alto.

Mandali via! Aggiungono. Ma Gesù non ha mai mandato via nessuno, e oppone un imperativo che scardina la loro logica: Date voi il pane. Fatelo voi! Come se la potenza di Dio fosse messa nelle nostre mani.

I cinque pani passano dalle mani di un anonimo a quelle di Gesù, da quelle di Gesù a quelle dei dodici, e dalle mani dei dodici a quelle di tutti i cinquemila. Un pesciolino ogni duemilacinquecento persone, quasi niente. Ma il vangelo è il racconto di epiche sproporzioni.

La fame inizia quando io tengo il mio pane solo per me, quando l'Occidente ricco tiene stretto il proprio pane per paura.

Non è solo spirituale o liturgica questa festa del Pane per tutti, perché “una religione che non si occupi anche della fame, delle topaie dove vivono i poveri, dei veleni che avvelenano la terra, una religione così è sterile come la polvere” (M. L. King).

Quella sera tutti sono sfamati, tutti. Buoni e meno buoni, meritevoli e no, donne e bambini, peccatori pentiti e quelli che ancora non lo sono; tutti.

Ne sono degni? Ma che triste domanda! Non è da Gesù. Certo che no! Chi è degno di Dio? Dio non si merita, si accoglie, in un passo di danza a due.

Festa del corpo e del sangue di un Dio da mangiare, da esserne vivi. Che si dirama in me e mi trasforma, che diventa una cosa sola con me. E ci chiede: ‘fate questo in memoria di me'. Fatevi pane buono, spezzato per la fame e la pace del mondo.

Allora saremo come Lui: “io non sono ancora e mai il Cristo...ma io sono questa infinita possibilità” (D.M. Turoldo).

padre Ermes Ronchi

In principio, il legame

Trinità: un solo Dio in tre Persone. Dogma che non capisco, croce di tutti i teologi, eppure liberante, perché mi assicura che l'essenza di Dio vibra di un infinito movimento d'amore. In principio a tutto sta la relazione. Solitudine è il primo male, perfino nel cielo: «neanche Dio può stare solo» (D. M. Turoldo), e la Trinità è la vittoria essenziale sulla solitudine, quella che, per bocca stessa di Dio, è il primo male del cosmo, anteriore al peccato originale: “non è bene che l'uomo sia solo”. Un dogma, questo, che non cerca di far coincidere il Tre con l'Uno, ma è sorgente di sapienza del vivere: se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per noi. Il Creatore aveva detto “Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza”. Nostra: non a immagine del Padre, non a immagine dello Spirito e neppure del Verbo. Molto di più: a immagine della Trinità, a somiglianza di un legame d'amore, come icona di comunità.

In principio alla Trinità sta il legame. Vivere è convivere, esistere è coesistere. Allora capisco perché quando sono con chi mi vuole bene, quando sono accolto e a mia volta so accogliere, sto così bene, così in pace: perché realizzo la mia umana e divina vocazione. Perfino i nomi che Gesù sceglie per dire il volto di Dio sono nomi che stringono legami: Padre e Figlio indicano relazioni salde come il sangue, potenti come la generazione. Per raccontare la Trinità non ci sono parole migliori dei tre linguaggi delle letture di oggi: la poesia, il cuore pieno, la ricerca.

La poesia del libro dei Proverbi: parlare di Dio attraverso l'origine delle cose. Non il Dio dei trattati, ma quello gioioso che moltiplica vita, crea bellezza e armonia, che gioca sul globo terrestre e la sua gioia è stare tra i figli dell'uomo (Proverbi 8,31).

Poi il "cuore pieno" di Paolo, passione e speranza che non delude. A noi abituati a interpretare tutto in chiave di degrado, di impoverimento, di sospetto, Paolo racconta di un Dio che riempie il cuore: «l'amore è stato riversato - illimitato e inarrestabile - nei vostri cuori», e riempie, tracima, dilaga. Il nostro male è che siamo immersi in un oceano d'amore e non ce ne rendiamo conto (G. Vannucci).

Infine Gesù: che è la piena rivelazione e insieme la ricerca inesausta, sempre incompiuta, che promette un lungo corroborante cammino, con un suggeritore meraviglioso che è lo Spirito. I verbi per dire lo Spirito Santo sono tutti al futuro: verrà, annuncerà, guiderà, prenderà..., sono parole in cammino, che aprono strade. Lo Spirito non sopporta recinti, nemmeno di parole sacre. Noi credenti, nati dal respiro di Dio come Adamo, apparteniamo a un sistema aperto, che avanza. Tutto circola nell'universo, tutto avanza e canta con la soavità propria di ciascuno, inconfondibile e ammaliante: pianeti e astri, sangue, fiumi, vento e uccelli migratori. 

Vita che, se si ferma, si ammala e si spegne.

padre Ermes Ronchi

Noi madri di Vangelo

Con lo Spirito Santo le parole non ce la fanno. Lo Spirito è Dio in libertà, e non sopporta recinti nemmeno di parole sacre. Lui forza tutte le porte.

La prima porta che abbatte è quella sbarrata di una casa dove manca l'aria. Luca ci racconta di apostoli che ne escono come ubriachi, fuori di sé, storditi da una improvvisa predazione di Dio.

È la prima chiesa, stremata e impaurita; un gruppo deluso che, barricato in casa, si stava sfaldando e che improvvisamente viene rovesciato come un guanto, e affronta la città che uccide i profeti: “Quel Gesù che voi avete ucciso è vivo!”.

Parevano “ebbri”, come esagerati, fuori misura, i folli di Dio; perché il cristianesimo non si diffonde per dottrine o divieti, ma, come allora, per la consegna amorosa e contagiosa della passione per Dio e per l'uomo.

La seconda porta è aperta dal salmo tra le letture, con il suo registro maestoso, una melodia che naviga e aleggia sul mondo: del tuo Spirito, Signore, è piena la terra (Sal 103). Tutta la terra, nessuna creatura esclusa, ne è piena; non solo sfiorata dal vento di Dio, ma riempita. Anche se non è evidente, anche se rimane gonfia di sangue, di follia, di guerre ovunque.

La terza porta dello Spirito si apre su altre cento: Paolo racconta di una fiamma di fuoco che si divide e che, come una musica riempie e sposa vite diverse, benedice la genialità e l'unicità di ognuno, domanda discepoli creativi che non ripetono parole d'altri: liberi, leggeri e limpidi.

“Nella grande Cattedrale che Dio va costruendo con le nostre persone, ognuno di noi è una pietra insostituibile” (G. Vannucci). Che opera compie lo Spirito? L'opera che ha realizzato con Marco, Matteo, Luca e Giovanni: genera evangelisti. Ognuno di noi lo è, col suo vangelo da proclamare. E nessuno ci può sostituire proprio là, dove Dio ci ha posto.

La quarta porta è spalancata dal vangelo: lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera. È l'umiltà di Gesù, che non pretende di aver detto tutto, ma ci parla con verbi tutti rivolti al futuro: lo Spirito verrà, annuncerà, guiderà, parlerà. Ricorderà cose antiche e scoprirà cose nuove. Lui, sommo inventore. E pregarlo è affacciarsi al balcone del futuro, dove la verità, sempre incompiuta, cresce e matura.

Lo Spirito compie in noi l'opera stessa realizzata in santa Maria: incarna in me la Parola, la fa crescere, ci rende tutti e tutte madri di Dio.

Allora niente cattolici depressi! Perché non mancherà mai il vento al mio piccolo veliero. Niente ansia per la rotta, perché su di noi soffia un Vento libero e liberante. E ci fa tutti vento nel suo Vento. Perché il Vangelo non è finito, è infinito, e cresce con chi lo legge. (Gregorio Magno). Cresce con te. Tu ne sei madre.

padre Ermes Ronchi

Indirizzo e contatti

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Orari S. Messe

Orario Estivo delle celebrazioni da lunedì 30 Giugno a sabato 30 agosto

Messa feriale da lunedì a sabato: ore 8:30

Messa del sabato vespertina: ore 18:00

Messe festive e domenicali: ore 8:30 ~ 10:30

Messe festive mesi luglio e agosto nelle Parrocchie vicine

S. Maria a Quinto ore 9:00 ~ 11:00

San Martino ore 08:00 ~ 10:00 ~ 11:30 ~ 18:00

Immacolata ore 07:25 ~ 10.30

Castellina ore 09:00 ~ 10:30

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