Cookie policy

Cosa sono i cookie? I cookie sono piccoli file di testo che vengono memorizzati sul tuo dispositivo quando visiti un sito web. Questi file permettono al sito di riconoscere il tuo dispositivo e ricordare alcune informazioni su di te, come le preferenze di navigazione o i dati di accesso. Tipi di cookie utilizzati Cookie tecnici: Questi cookie sono essenziali per il funzionamento del sito e permettono di utilizzare le sue funzionalità principali. Senza questi cookie, alcuni servizi potrebbero non funzionare correttamente. Cookie di analisi: Questi cookie raccolgono informazioni su come i visitatori utilizzano il sito, come le pagine visitate e gli eventuali errori riscontrati. Le informazioni raccolte sono anonime e vengono utilizzate solo per migliorare il funzionamento del sito. Cookie di profilazione: Questi cookie vengono utilizzati per creare profili degli utenti e inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze mostrate durante la navigazione. Cookie di terze parti Il nostro sito utilizza anche cookie di terze parti, come quelli di Google Analytics, per raccogliere informazioni statistiche aggregate sull’uso del sito. Questi cookie sono gestiti da terze parti e non abbiamo accesso alle informazioni raccolte. Gestione dei cookie Puoi gestire le tue preferenze sui cookie direttamente dal tuo browser. La maggior parte dei browser ti permette di accettare o rifiutare tutti i cookie, o di accettare solo alcuni tipi di cookie. Consulta la sezione “Aiuto” del tuo browser per sapere come fare.

Noi madri di Vangelo

Con lo Spirito Santo le parole non ce la fanno. Lo Spirito è Dio in libertà, e non sopporta recinti nemmeno di parole sacre. Lui forza tutte le porte.

La prima porta che abbatte è quella sbarrata di una casa dove manca l'aria. Luca ci racconta di apostoli che ne escono come ubriachi, fuori di sé, storditi da una improvvisa predazione di Dio.

È la prima chiesa, stremata e impaurita; un gruppo deluso che, barricato in casa, si stava sfaldando e che improvvisamente viene rovesciato come un guanto, e affronta la città che uccide i profeti: “Quel Gesù che voi avete ucciso è vivo!”.

Parevano “ebbri”, come esagerati, fuori misura, i folli di Dio; perché il cristianesimo non si diffonde per dottrine o divieti, ma, come allora, per la consegna amorosa e contagiosa della passione per Dio e per l'uomo.

La seconda porta è aperta dal salmo tra le letture, con il suo registro maestoso, una melodia che naviga e aleggia sul mondo: del tuo Spirito, Signore, è piena la terra (Sal 103). Tutta la terra, nessuna creatura esclusa, ne è piena; non solo sfiorata dal vento di Dio, ma riempita. Anche se non è evidente, anche se rimane gonfia di sangue, di follia, di guerre ovunque.

La terza porta dello Spirito si apre su altre cento: Paolo racconta di una fiamma di fuoco che si divide e che, come una musica riempie e sposa vite diverse, benedice la genialità e l'unicità di ognuno, domanda discepoli creativi che non ripetono parole d'altri: liberi, leggeri e limpidi.

“Nella grande Cattedrale che Dio va costruendo con le nostre persone, ognuno di noi è una pietra insostituibile” (G. Vannucci). Che opera compie lo Spirito? L'opera che ha realizzato con Marco, Matteo, Luca e Giovanni: genera evangelisti. Ognuno di noi lo è, col suo vangelo da proclamare. E nessuno ci può sostituire proprio là, dove Dio ci ha posto.

La quarta porta è spalancata dal vangelo: lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera. È l'umiltà di Gesù, che non pretende di aver detto tutto, ma ci parla con verbi tutti rivolti al futuro: lo Spirito verrà, annuncerà, guiderà, parlerà. Ricorderà cose antiche e scoprirà cose nuove. Lui, sommo inventore. E pregarlo è affacciarsi al balcone del futuro, dove la verità, sempre incompiuta, cresce e matura.

Lo Spirito compie in noi l'opera stessa realizzata in santa Maria: incarna in me la Parola, la fa crescere, ci rende tutti e tutte madri di Dio.

Allora niente cattolici depressi! Perché non mancherà mai il vento al mio piccolo veliero. Niente ansia per la rotta, perché su di noi soffia un Vento libero e liberante. E ci fa tutti vento nel suo Vento. Perché il Vangelo non è finito, è infinito, e cresce con chi lo legge. (Gregorio Magno). Cresce con te. Tu ne sei madre.

padre Ermes Ronchi

Noi, frammenti di cosmo ospitali all’avvento di Dio

Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Una passione di unirsi abita la storia di Dio e dell'uomo, così che Dio per millenni ha cercato un popolo e profeti di fuoco, re e mendicanti, e infine una donna di Nazaret per entrare in comunione con l'umanità. Tommaso d'Aquino diceva che l'amore è passione di unirsi alla persona amata. Dio è amore, passione di unirsi all'umanità.

Verremo. Bellissimo questo venire di Dio, il suo nome è Colui-che-viene, colui che ama la vicinanza, che abbrevia instancabilmente le distanze. E prenderemo dimora presso di lui. In me il Misericordioso senza casa cerca casa. Forse non troverà mai una vera dimora; posso offrire solo un povero riparo, non ho virtù o meriti particolari, non ricchezze spirituali, ma una cosa sola Lui mi domanda: essere un minimo frammento di cosmo ospitale verso l'avvento di Dio.

Dio prende dimora dentro: ma se non pensi a lui, se non gli parli dentro, se non lo ascolti nel segreto, se non sosti dentro di te, nel silenzio, accanto a lui, forse la casa è vuota, non sei ancora dimora di Dio. Se non c'è rito nel cuore, se non c'è una liturgia nel cuore, tutte le nostre liturgie ecclesiastiche, anche le più imponenti, sono maschere del nulla, suonano vuote. Custodisci i riti del cuore (A. Casati). Due sono i doni del Risorto: la pace e lo Spirito. Pace, miracolo fragile infinitamente infranto. Che si custodisce solo insieme, condividendolo. E lo Spirito, che è accensione del cuore, incandescienza e dinamismo, che è vento e non ama le porte chiuse. Lo Spirito ci fa innamorare di un cristianesimo che sia visione, incantamento, fervore, poesia, testimonianza viva. E vi riporterà al cuore tutto ciò che io vi ho detto. Lo Spirito dialoga con noi senza pausa. Consolatore è il suo nome, e non perché esorcizza solitudini, lacrime o fallimenti, guaritore delle mie paure di vivere, ma perché è il maestro della strada verso il tempio del cuore, verso la liturgia del cuore; perché ci salva da una vita senza cuore, da azioni e parole senza cuore. Perché è il sovvertitore di tutte le false paci, di quella quiete che è in realtà vita spenta. E soprattutto perché riporta al centro la Parola, che è la nuova dimora di Dio presso gli uomini. Così lo Spirito continua a nominare Cristo nel cuore, e nominare Cristo equivale a confortare la vita. Dio stesso è legittimato a proporsi all'uomo solo perché sa confortare la vita ma per la sua capacità di consolare. Allora la vita riprende a sedurci. E noi a rendere ragione della nostra speranza, di ciò che sogniamo per questo mondo, per questo uomo: tutto ciò che possiamo mettere dentro la parola pace, dentro la parola vita.

Padre Ermes Ronchi

Accolto e tracimante

Se cerchiamo la firma inconfondibile di Gesù, il suo marchio esclusivo, lo troviamo in queste parole.

Pochi versetti, registrati durante l’ultima cena quando, per l’unica volta nel vangelo, Gesù chiama i suoi discepoli: “Figlioli”, con un termine speciale, affettuoso, carico di tenerezza: figliolini, bambini miei.

«Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate come io vi ho amato». Parole infinite, in cui ci addentriamo come in punta di cuore.

Ma perché comandarlo, quando l’amore non si finge, non si mendica, non si impone?

E perché ‘nuovo’, se quel comando innerva già tutta la bibbia, legge e profezia?

La Bibbia intera è una biblioteca sull’arte di amare. E qui siamo forse al capitolo centrale: amatevi come io ho amato voi. La novità emerge dal piccolo avverbio “come”. Gesù non dice amate ‘quanto me’, lui parla della qualità dell’amore. Lo specifico del cristiano non è amare, lo fanno già in molti, sotto ogni cielo, bensì farlo come lui.

Non quanto me, non ci arriveremmo mai. Ma ‘come me’, imparate dal mio stile, dal mio modo: lui che lava i piedi ai discepoli e abbraccia i bambini; che vede uno soffrire e prova un crampo nel ventre, un’unghiata sul cuore; che quando si commuove va vicino e tocca, tocca la carne, la pelle, gli occhi; che non manda via nessuno mai. In cerca dell’ultima pecora, alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato. Amore non di emozioni, ma di mani, fattivo, di pane. Ecco come ci obbliga a diventare grandi, e accarezza e pettina le nostre ali perché diventino più forti e possiamo spiccare il volo, e volare lontano.

Come io ho amato voi. Gesù usa i verbi al passato; non parla della croce che già si staglia in fondo alla notte, parla di cronaca concreta, appena vissuta, nell’ultima cena, quando Gesù, nella sua creatività, inventa gesti mai visti: il Signore che lava i piedi nel gesto dello schiavo o della donna, che offre il pane anche a Giuda, che lo ha preso ed è uscito.

E sprofonda nella notte.

Dio è amore che si offre anche al traditore, e fino all’ultimo lo chiama amico.

Amore reciproco: gli uni gli altri, cioè cominciando da chi è vicino, occhi negli occhi, faccia a faccia, a tu per tu. È la terminologia caratteristica della prima comunità cristiana.

E guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita il mio amore: È l’uomo, ogni uomo. Perfino l’inamabile, perfino Caino, perfino Giuda.

Allora capisco il comandamento non come una imposizione, ma come il fondamento della storia e il compimento della parabola della vita. Se ami, non sbagli. Se ami, non fallisci la vita. Se ami, la tua vita è stata un successo, comunque.

Se ognuno di noi sarà il racconto di un gesto di Cristo, diventerà canale attraverso il quale l’amore, come acqua che feconda, circolerà nel mondo.

Padre Ermes Ronchi

Una resa?


I sette discepoli sono tornati là dove tutto aveva avuto inizio, al loro mestiere di prima, alle parole di sempre: vado a pescare, veniamo anche noi. L’ultimo incontro con il Risorto avviene nella normalità del quotidiano. L’infinito scende alla latitudine di casa. Il cerchio delle azioni di tutti i giorni è il luogo dove incontrare colui che se n’è andato dai recinti del sacro e abita il “profano”: l’infinito è nella vita, e la vita è infinita.

L’abbandonato ritorna da coloro che sanno solo abbandonare, e invece di chiedere loro di inginocchiarsi, è lui che si inginocchia davanti al fuoco di brace, come una madre che si mette a preparare il cibo per i suoi di casa, come un amico. È il suo stile: tenerezza, umiltà, cura. Amici, vi chiamo, non servi.

E chiede: portate un po’ del pesce che avete preso! Così il pesce di Gesù e il tuo finiscono insieme, e non li distingui più.

In questo clima di amicizia e semplicità, seduti all’alba attorno a poche braci, il dialogo sublime tra Gesù e Pietro.

Gesù, maestro di umanità, usa il linguaggio più semplice, pone domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di sapere: mi ami? Mi vuoi bene?

Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame; di domande e risposte che anche un bambino capisce perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni. Il linguaggio del sacro diventa il linguaggio delle radici profonde della vita. La vera religione non è mai separata dalla vita.

E sono tre domande, sempre uguali, sempre diverse:

Simone di Giovanni, mi ami più di tutti? Pietro risponde con un altro verbo, quello più umile, più nostro, verbo dell’amicizia e dell’affetto: ti voglio bene. E non si misura con gli altri.
Seconda domanda: Simone di Giovanni, tu mi ami? Pietro mantiene il profilo basso di chi conosce bene il cuore dell’uomo, e risponde ancora con quel nostro verbo così umano: ti sono amico.
Nella terza domanda succede qualcosa di straordinario. Gesù adotta il verbo di Pietro, si abbassa, si avvicina, lo raggiunge là dov’è: Simone, mi vuoi bene? Dammi affetto, se l’amore è troppo; amicizia, se l’amore ti mette paura. Pietro, un po’ d’amicizia posso averla da te? E mi basterà, perché io cerco la sincerità del cuore.
Gesù rallenta il passo sul ritmo del nostro, la misura di Pietro diventa più importante delle sue esigenze; così è l’amore vero, che mette il tu prima dell’io. Pietro sente il pianto salirgli in gola: vede Dio mendicante d’amore, Dio delle briciole, cui basta così poco, solo la verità di un cuore sincero. E credo che nell’ultimo giorno, anche se per mille volte l’avrò deluso o tradito, il Signore per mille volte mi chiederà come a Simone:

Mi vuoi bene? E io non dovrò fare altro che rispondere, per mille volte, solo questo:

Sì, ti voglio bene!

P. Ermes Ronchi

Un coraggio di pace controcorrente


Otto giorni dopo venne di nuovo Gesù, a posare la sua pace sulle paure di Tommaso, a posare la sua carezza sui suoi dubbi.

In nessun testo è scritto che sia meglio la fede granitica, tutta d’un pezzo, piuttosto che quella intrecciata ai dubbi.

Tommaso è il solo coraggioso, l’unico che se la sente di uscire da quella stanza e da quella paura soffocanti. L’unico che guarda in faccia i propri dubbi e li chiama per nome: “non ci credo”!

Venne Gesù è stette in mezzo a loro. Otto giorni dopo Gesù è ancora lì. Li ha inviati per le strade e li ritrova ancora chiusi in quella stanza, ma non chiede loro di essere perfetti, ma di essere veri.

Pace a voi, annuncia, come carezza sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulla tristezza che scolora i giorni.

Pace: parola viva che oggi muore nelle ipocrisie, nelle case distrutte, negli ospedali bombardati, nelle file infinite per l’acqua sporca nella tanica, nelle pozzanghere di fango dove i bambini riescono ancora a vedere il cielo.

Quel cielo sulle pozzanghere è il nome della speranza.

Ma noi preferiamo la vittoria sul nemico, alla pace con lui. Il dialogo costa fatica, papa Francesco lo ha ripetuto fino allo sfinimento. Noi preferiamo il subito della forza, alla pazienza della giustizia e del perdono.

La pace di Gesù va oltre, è disarmante: metti via la spada. La pace comincia dentro, nel disarmare le parole, per disarmare la terra.

Poi Gesù si rivolge a Tommaso, detto “didimo”, cioè nostro gemello di dubbi e di fede, che lui aveva educato alla libertà interiore e, quando necessario, a dissentire dal gruppo; l’aveva fatto rigoroso e coraggioso.

Gesù si propone alle sue mani: Metti, guarda; tendi la mano, rispettando la fatica di ciascuno e i dubbi di tutti; onora i tempi e “la complessità del vivere, che ci fa tutti diversi e perciò necessari” (papa Francesco).

Gesù le piaghe non le nasconde, quasi le esibisce. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, che restano il punto più alto del suo amore, la sua gloria, e per questo resteranno aperte per l’eternità.

Metti qui la tua mano… qualche volta mi perdo a immaginare che forse un giorno anch’io sentirò quelle parole: toccami, e lascerò che la sua mano guidi la mia nel cuore di Dio. Nel crepacuore di Dio.

Il vangelo non dice che Tommaso l’abbia fatto. Che bisogno c’era? Si fida: mio Signore e mio Dio. Che inganno c’è in chi è si è lasciato spaccare il cuore per te?

La fede se non integra l’aggettivo “mio”, non è vera fede: sarà religione, catechismo, paura, teoria, ma la fede vera è ciò che arde (Ch. Bobin): mani, parole, occhi, cuore che ardono

Mio Signore, mio dev’essere, con la certezza dell’amata del Cantico,
mio non di possesso ma di appartenenza: il mio amato è per me e io sono per lui. Tu parte di me, e io parte di te.

P. Ermes Ronchi

Indirizzo e contatti

Siamo a Sesto Fiorentino (Fi)

  • Via Antonio Gramsci 691-693
  • +39 055-442753
  • info[at]santacroceaquinto.it

Orari S. Messe

Messa feriale da lunedì a sabato: ore 8:30 ~ 17.30
Messa festiva del sabato: ore 18:00
Messe festive domenicali: ore 8:00 ~ 10:00 ~ 11.30 ~ 18.00

Search

Free Joomla templates by Ltheme