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Nostra sorella dell'arcobaleno

Maria è la prima della lunga carovana dell’umanità. E noi che immacolati non siamo, camminiamo dietro a lei, nostra prima sorella.

Porrò inimicizia tra il serpente e la donna. Che potenza! Ostilità tra la donna che ama la vita e il serpente che ama il suo contrario.

Adamo ed Eva la vita l’hanno appena fallita, e Dio, contro ogni evidenza, li chiama solennemente nemici del male.

Stupendo: io sarò ferito e sporcato dal male, ma non sarò mai amico suo!

E sento ancora: Tu le insidierai il calcagno, ma lei ti schiaccerà la testa. Il serpente, il male ti raggiunge da dietro, è un passato che talvolta ritorna e fa molto male, ma è in basso, non arriva al cuore dell’uomo, non è davanti a te, non è il tuo orizzonte.

Adamo ed Eva escono dal paradiso portando con sé un germe di vittoria: schiaccerai la testa del serpente. Puoi vincere.

In noi c’è un pezzettino di Dio luminoso, c’è in noi una stella sufficientemente lontana perché i nostri errori non possano mai offuscarla (Ch. Bobin).

L’angelo Gabriele se ne vola via da Zaccaria, sbattendo le ali sulla sua incredulità, e atterra in un paesino assolato e sconosciuto, in una casa qualunque, fra pentole e telai.

È il vangelo delle prime volte: è la prima volta che Dio si rivolge ad una donna. Che la creatura ha l’ultima parola nel dialogo con il cielo. È la prima volta di una parola mai udita: sei piena di grazia! Il tuo nome è: amata-per-sempre.

L’angelo aggiunge: Dio è con te. Parola che avrebbe dovuto mettere in guardia la ragazza, perché con quelle parole nella Bibbia Dio convoca ad una avventura ardua come una sfida.

Maria, avrai un figlio, tuo e di Dio. Gli darai nome Gesù.

Da ragazza matura e intelligente, Maria obbietta e argomenta, vuole capire: dimmi come avverrà! E l’angelo: viene l’infinito nel tuo sangue, la luce che ha generato gli universi si aggrappa al tuo seno. Cosa importa il come!

E tuttavia Gabriele resta lì, a spiegare: evoca lo Spirito come era sulle acque dell’origine, come era la sua nube che scendeva nel deserto, e la invita a pensare in grande, più in grande che può. Fidati, sarà Dio a trovare il come.

E se noi siamo qui oggi, se possiamo dirci cristiani è per la fede, la libertà e il coraggio di questa ragazzina che ha detto: sono qui,

Tu sei il Dio dell’alleanza, e io sarò l’alleata del Dio delle alleanze.

Dove tu andrai anch’io andrò, il tuo sogno sarà il mio sogno.

Forse a Maria torna in mente il legame forte tra Ruth e Noemi, o forse è la voce dell’umanità, che invece di dare sempre la colpa a qualcuno, prova a dire: sì, io credo al futuro perché tu sei con me. Tu hai inventato l’arcobaleno come segno d’alleanza con le creature, e io sarò un piccolo arcobaleno, di pace e di abbracci. Anche il nostro “sì” può cambiare il mondo; tutti noi possiamo segnare nascite sul libro della vita, e tracciare arcobaleni sul calendario della storia.

P. Ermes Ronchi

Capodanno dei cristiani

L’Avvento che ritorna è come un cambio di stagione.

Primo giorno, l’inizio. Il capodanno dei cristiani. Si ricomincia a camminare verso quell’attimo che ha cambiato tutta la storia, quando con il Natale Dio si tuffa nel fiume dell’umanità.

Toglietemi tutto, ma non l’incarnazione! E la gioia di ripercorrere un’altra volta tutta la vita di Gesù, con il respiro sempre nuovo che nell’anno liturgico inizia qui, con la prima domenica d’Avvento.

Ci saranno segni nel sole, nella luna, nelle stelle. Il vangelo di Luca oggi racconta il puro segreto del mondo, nascosto nel suo silenzio più profondo.

Ci prende per mano, ci porta fuori dalla porta di casa a guardare in alto, a percepire il cosmo pulsante che soffre e si contorce come una partoriente, ma per produrre vita.

Ad ogni descrizione drammatica segue infatti la speranza, dove tutto cambia: ma voi risollevatevi e alzate il capo, la liberazione è vicina.

Alzate gli occhi!

Non guardare solo alle cose immediate,

non inciampare nelle macerie che ingombrano la strada,

se non alzi la testa non scorgerai arcobaleni né squarci d’azzurro.

Uomini e donne in piedi, a testa alta, occhi nel futuro!

Così vede i discepoli il vangelo. Gente dalla vita verticale e dallo sguardo profondo, dritti davanti al Signore.

Dio viene. Giorno per giorno, continuamente, adesso. Viene per farci il regalo più bello che possiamo fare a noi stessi: un cuore attento e leggero.

State attenti a voi stessi, che il cuore non diventi pesante, affannato, dissipato, ubriaco di lacrime. Proviamo tutti il morso dello sconforto per quanto accade nel mondo.

Ma io non resto a terra, non permetterò allo scoramento di sedersi con me e di mangiare nel mio piatto. Nessuna depressione finché conservo la testarda fedeltà all’idea che tutta la storia è, nonostante ogni smentita, un processo di salvezza.

Avvento: quattro settimane per ritrovare il vivere con attenzione e leggera sobrietà guardando lontano, guardando oltre lo stordimento assordante per scendere nell’intimo, a cercare un cuore leggero che scorga i piccoli dettagli della vita.

Basta così poco. Quando smetteremo di offendere la vita piccola e cominceremo a stupirci per ogni minima cosa, per ogni essere vivente?

Ci serve doppia attenzione per vegliare sul nuovo che nasce, sui primi passi della pace anche tra di noi. E sul grammo di luce che si posa sul muro della notte di queste guerre infinite. Nessuna esistenza è senza un grammo di luce, e l’attesa di un bambino ne è l’emblema supremo. La vita è dentro l’infinito e l’infinito è dentro questa vita dove Dio viene, bello come il sogno più bello, meraviglia dell’eterno verso il quale stiamo andando. Con l’Avvento l’eterno entra maestosamente sui nostri giorni e su noi, certi che il nostro grado di eternità si misura sull’intensità dei nostri sogni.

P. Ermes Ronchi 

Re degli abbracci


Uno di fronte all’altro: Pilato, potere di vita e di morte, e un detenuto, l’anello più debole della catena.

Un dialogo serrato e straordinario, tra i due.

Sei tu il re dei giudei? Possibile che quel galileo dallo sguardo limpido e diritto sia a capo di una rivolta, di una guerra, sia un pericolo per Roma?

Gesù risponde ribaltando i ruoli, ed è l’imputato che interroga il giudice: sei tu che me lo stai chiedendo, oppure sei istruito da qualcuno?

Pilato si risente: Sono forse io un giudeo come te? I tuoi ti hanno consegnato, sono loro che vogliono ucciderti.

Gesù ha una statura interiore che scuote. Parla e si alza sul pretorio un vento regale di libertà. Risponde aprendo un’altra dimensione del cuore: c’è un altro mondo, un altro senso delle cose, il mio regno non c’entra con il tuo.

Nel mio non ci sono regole di morte, né legioni, né spade, né predatori come nel tuo. Nel mio mondo la cosa più importante è servire e donare. L’amore è re. Unica forma di regalità.

Dove i poveri sono il grembo del futuro, i re di domani. Dove la storia appartiene ai buoni e la terra ai limpidi, ai liberi, ai piccoli, ai non violenti, agli affamati di giustizia.

Oggi, Cristo Re, non celebriamo la salita al trono del padrone del mondo. Gesù non è il re che cammina sulle ali dei venti o sradica i cedri del Libano. La sua regalità sta in un abbraccio che ti fa ritornare intero, dove puoi rinascere e ripartire. E il tuo cuore è a casa solo accanto al suo.

Non un re potente che controlla tutto, ma l’amante che tutto abbraccia. E nessuno cade così lontano da non poter essere raggiunto.

E mi nascono domande: quali sono le parole regali della mia vita? Quelle che danno ordini al mio futuro? Che mi fanno camminare? Che mi fanno capire cosa è vita e cosa no?

Io scelgo ancora lui, il Nazareno. Ho tanto cercato, ma di meglio non ho trovato. È il Dio vicino, è qui, “god domestic” (Giuliana di Norwich) di casa, di gesti, di pane; abbraccio che scioglie i nodi e unisce i pezzi, legame che non si spezza.

Pilato prende l’affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l’iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei.

Voleva deriderlo, e invece è stato profeta, il profeta Pilato: il re è visibile là, sulla croce, mentre con le braccia aperte ci dona tutto di sé e non prende niente di nostro; non chiede la vita di nessuno, offre la sua.

Venga il tuo Regno, Signore, e sia più bello di tutti i sogni di chi visse e morì nella notte per affrettarlo.

Non può essere banale la vita di chi ogni giorno mormora:

venga il tuo Regno.

E allora: non temere, è già iniziato, e alla fine, vedrai, sarà Lui stesso a varcare l’abisso.

P. Ermes Ronchi

La scuola verde

Scene apocalittiche, nel vangelo come nella storia nostra.

In quei giorni il sole si oscurerà, la luna si spegnerà, le stelle cadranno dal cielo. 

Un mondo che va alla deriva? Guarda più a fondo, con occhi di profeta: in realtà è un mondo che rinasce.

Dalla pianta di fico imparate: quando il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Gesù ci porta alla scuola delle piante, perché le leggi dello spirito e le leggi della realtà, in fondo, coincidono.

Il fico è la pianta più citata nelle scritture. Più del grano, più della vite. Era l’albero piantato davanti casa, la cui ombra e i cui frutti rimandavano alla serenità del vivere, alla dolcezza della Parola, alla presenza di qualcuno che, dentro casa, manda avanti e cura la vita.

Imparate dalla sapienza degli alberi: l’intenerirsi del ramo, la linfa che riprende a gonfiare i suoi piccoli canali, è una sorpresa che non dipende da te. Uno stupore ogni volta nuovo.

Così anche voi sappiate che egli è vicino, è alle porte. Dio è qui; e dice vita, dice primavera. Da una gemma di fico, piccola realtà incamminata verso la sua pienezza, imparate il futuro del mondo: il mondo non è finito, concluso così com’è; il creato è una realtà germinante.

Da una gemma imparate Dio: tra i suoi cento nomi c’è anche ‘germoglio’ (inôn, sl 72,17): “il suo nome è perennità, in faccia al sole. Inôn è il suo nome”. Non la perennità fissa della pietra, bensì quella dell’alba, del rinascere. Una perennità di germogli.

Mi mette pace, allegria, speranza, buon umore, immaginare e pensare Dio come germinazione a primavera; non un ramo secco, un legnetto da ardere nel fuoco, ma un tralcio verde.

E sopra si aprono gemme come occhi, come stelle verdi.

Passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno. Passano il sole e la luna, si sbriciola la terra, ma le mie parole sono un sole che non tramonta, perché scolpite nel cuore dell’uomo.

Gesù ci convoca tutti a dare fiducia al futuro, a credere che il cammino della storia è, nonostante tutte le smentite, un cammino di salvezza.

Il Vangelo parla di stelle che cadono, il Profeta Daniele parla di stelle che salgono a ripopolare il cielo: “Uomini giusti e donne sante salgono nella casa delle luci, dove risplenderanno come stelle”.

Cercali, guardali, ringraziali i giusti e i limpidi che vivono attorno a te, i profeti di oggi, che si sono impregnati di luce, per te.

Germogli benedetti, imbevuti di cielo, intrisi di Dio, oasi di speranza. Sono tanti, e “ognuno è un proprio momento di Dio” (Turoldo), ognuno sillaba del Verbo, ognuno consonante di quella “speranza che è il presente del nostro futuro” (Tommaso d’Aquino).

Il mondo non finirà nel fuoco, ma nella suprema bellezza.

P. Ermes Ronchi

Stigma di Dio sono due spiccioli


Nel gesto discreto di lei, Gesù ci dà una lezione fondamentale: non cercate nella vita persone sante. Forse le troverete o forse no (infatti non sappiamo nulla della vita morale di quella donna). Cercate piuttosto persone generose. La generosità è lo stigma di Dio. L'ultimo personaggio che Gesù incontra nel vangelo di Marco è una donna senza nome, una maestra senza parole e senza titoli, ma che conosce la sapienza del vivere. Gesù, seduto, osserva. Il suo guardo penetrante, affilato come quello dei profeti, nota in quella vedova povera un gesto da nulla, in cui si cela il divino, vede l'assoluto balenare nel dettaglio di due centesimi. Lei ha gettato due spiccioli, ma ha dato più di tutti gli altri. Perché di più di tutti? Perché le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Conta quanto cuore c'è dentro, quanto peso di lacrime e quanta fede. Ha gettato tutto ciò che le serviva per vivere. Chi dà tutto, non si meraviglia, poi, di ricevere tutto.Per quella donna, le parole originarie che Marco spende sono geniali: gettò nel tesoro tutta intera la sua vita
Quella donna ha immesso nel mondo il meglio che aveva: il suo molto coraggio, contenente una scheggia di divino.
Nel gesto discreto di lei, Gesù ci lascia una lezione fondamentale: non cercate nella vita persone sante. Forse le troverete o forse no (infatti non sappiamo nulla della vita morale di quella donna). Cercate piuttosto persone generose. La generosità è lo stigma di Dio. Affidiamo la nostra vita ai generosi, andiamo a scuola da loro, e non dagli scribi pii e devoti.
Vangelo dalla domanda radicale: Che cosa ci fa vivere? Dalla risposta semplice: il dono! Nel vangelo il verbo "amare" si traduce sempre con un altro verbo, concreto, asciutto, di mani: "dare". Non un fatto di emozioni ma di doni.
Architrave portante della religione è il dono, e non il dovere o i debiti da pagare.
"Io credo nello Spirito è Signore e dà la vita". Dio dona. Dona respiro al mio respiro, dona agli uccelli di volare, alla rosa di fiorire, alle mamme l'abbraccio che guarisce, alla vita di risorgere, a una piccola donna povera di valere molto più degli istruiti, più ancora dei più ricchi. "Se tu ascoltassi per un'ora soltanto il tuo cuore, faresti lezione agli eruditi!" (Rumi).
Questa donna l'ha fatto, ha ascoltato il cuore e ha dato più di tutti. La domanda dell'ultima sera risuonerà forse come eco di questo piccolo evento: che cosa hai dato alla vita? Hai dato molto o poco alle vite che ti erano affidate? Hai dato generosamente quello che avevi: tempo, affetti, luce, i motivi che ti fanno vivere, gioire e, qualche volta almeno, tentare un passo di danza nel sole, e perfino nella pioggia?
I primi posti non appartengono agli scribi esperti di religione, ma a quelli che danno ciò che li fa vivere, che regalano cuore con gesti piccoli o grandi di cura, attenzione, gentilezza. L'infinito confina con una carezza, l'assoluto con due spiccioli poveri,
la notte comincia con la prima stella, l'amore con il primo sguardo, il mondo nuovo con il piccolo gesto di una vedova senza nome.

P. Ermes Ronchi

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