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Lui sulla mia barca


Senza neppure chiedersi dove Gesù li avrebbe condotti. Lo seguono in piena incoscienza.

Perché il motivo di tutto è solo lui, quel Rabbi dalle parole folgoranti. Allontanati da me, aveva detto Pietro; e alla fine si allontanano ma insieme, verso un altro mare, lasciando sulla riva le barche riempite fino all’orlo dal miracolo. Sono i “futuri di cuore”.

Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. E Gesù in piedi vede. Vede “due barche”, dice il Vangelo, ma io credo che veda tutta la delusione e la tristezza del mondo sui volti dei pescatori, che in disparte lavano le reti vuote.

Il maestro parla con linguaggio universale e immagini semplicissime, non dal pinnacolo del tempio ma dalla barca di un pescatore di Cafarnao. Non da luoghi sacri, ma da un angolo umanissimo e laico, in mezzo alle attività umane, non padrone, ma ospite dello spazio umano, delle periferie, delle attese, delle delusioni.

Gesù di fronte a uomini in crisi, per un pescatore non pescare è la crisi d’identità, usa tutta la sua sapienza e delicatezza: prega Simone di staccarsi un po’ dalla riva.

Sale sulla barca di Simone e lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca. Così il maestro sale sulla barca della mia vita e mi prega di ripartire con quel poco che ho, con quel poco che so fare, per affidarmi un nuovo mare.

Prendi il largo e getta le tue reti.
Sulla tua parola le getterò. Simone si fida e si avvia il miracolo. Una quantità enorme di pesci, una quantità di giorni pieni di pane e di luce per lui e per tutti coloro che sulla sua parola getteranno le reti.

Un prodigio. Un segno. Simone ha paura: Allontanati da me, perché sono un peccatore. Gesù sull’acqua del lago ha una reazione bellissima. Lui, il grande pescatore di uomini, alle parole di Simone non risponde “non sei peggio degli altri”, non giudica, non condanna, ma neppure assolve.

A lui non interessa giudicare neppure in vista di una assoluzione, a lui interessa il frutto, la pesca abbondante, la fecondità della vita e non la purezza fondamentalista. Mette oro nelle ferite. Gesù pronuncia una parola solenne e inattesa:
Non temere, d’ora in avanti tu sarai… e il futuro conta più del presente, più del passato. D’ora in avanti cercherai uomini, raccoglierai vite per la vita. E il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi. Io non sono che un perdonato, uno che non ha preso niente, ma che ora sulla tua parola getterà le reti ancora. Sono il primo dei paurosi, l’ultimo dei coraggiosi, ma d’ora in avanti qualcosa sarò, Signore, se la tua grazia farà del mio nulla qualcosa che serva a qualcuno

P. Ermes Ronchi

Fessura sull'infinito


Maria e Giuseppe portarono il Bambino al tempio, per presentarlo al Signore. Una giovane coppia col suo primo bambino porta la povera offerta dei poveri, due tortore, ma anche il più prezioso dono del mondo: un bambino.Sulla soglia, due anziani in attesa, Simeone e Anna: “Che attendevano”, dice Luca, cioè che avevano speranza. Perché le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese (S. Weil). Quando il discepolo è pronto, il maestro arriva.

Non sono le gerarchie religiose ad accogliere il bambino, ma due laici innamorati di Dio, occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio, il passato che tiene fra le braccia il futuro del mondo.

Perché Gesù non appartiene all’istituzione, non è dei preti ma dell’umanità. È Dio che si incarna nelle creature e tracima dovunque, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, ai sognatori, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato. Dio lo incontri attraverso la tua umanità.

Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che “non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia”. Sono parole che la Bibbia conserva perché le stampiamo nel cuore: anch’io, come Simeone, non morirò senza aver visto il Signore. Il viaggio non finirà nel nulla, ma in un abbraccio.

Io non morirò senza aver visto l’offensiva di Dio, l’offensiva della luce, che è già in atto dovunque; l’offensiva del bene che, anche se invisibile, lievita e fermenta nelle vene del mondo.

“Simeone aspettava la consolazione di Israele”. Lui sapeva aspettare, come fa chi ha speranza. Se attendi, gli occhi si fanno attenti, penetranti, vigili. E vedono: “ho visto la luce, da te preparata per tutti”!

Ma quale luce emana da questo piccolo figlio della terra, un neonato che sa solo piangere e succhiare il latte? Il sapiente d’Israele ha colto l’essenziale: la luce di Dio è Gesù, è carne illuminata, storia fecondata, innesto del cielo nella terra.

La salvezza non è un’opera particolare, un fatto preciso, ma è Dio che è venuto, si è perso nel mondo, è naufragato negli amori, si è impigliato nei sorrisi e nelle croci dello sterminato accampamento umano, si è nutrito anche lui dei nostri nutrimenti umani. E non se ne andrà più.

“Egli è qui per la risurrezione”: per lui nessuno è perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare da capo e ripartire ad ogni alba. È qui come una mano che ti prende per mano e ti tira su, sussurrando: 

 “talità kum”, bambina alzati! Sorgi, rivivi, risplendi, riprendi la danza della vita.

“Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui”. Tornarono alla santità, alla profezia e al magistero della famiglia, che vengono prima di quello del tempio; alla casa dove arde in appartata fiamma la vita; alla famiglia che è santa perché l’amore vi celebra la sua festa, e ne fa la più viva fessura sull’infinito.

P. Ermes Ronchi

Occhi su Gesù

A Gesù non importa se il povero e il cieco sono giusti o peccatori, nel vangelo si parla di sofferenze più che di colpe. C'è buio e dolore, e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio.

Gesù ha cercato con cura quel brano nel rotolo: conosce bene le Scritture, ci sono mille passi che parlano di Dio, ma lui sceglie questo, dove l'umanità è definita con quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Adamo è diventato così, ed è per questo che Dio diventa Adamo.

Allora chiude il libro, apre la vita, vi si immerge: il suo programma è portare gioia, libertà, occhi guariti, liberazione. Un messia che non impone pesi, ma li toglie; che non porta precetti, ma orizzonti.

Luca ci racconta un'icona da stampare nel cuore. Lo fa quasi alla moviola per farci comprendere l'estrema importanza di questo momento.

Nella sinagoga gremita Gesù si alza, prende, cerca con cura, legge. Poi arrotola il volume, lo riconsegna, si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui, e nel grande silenzio risuonano le prime parole ufficiali di Gesù: “oggi la parola di Isaia si realizza”.

Ed è così forte questa affermazione: il vangelo non è una chiacchiera, la Parola non è teoria, cambia le cose, orienta le scelte, è spada a due tagli.

Gesù nella proclamazione ha censurato il profeta Isaia, non legge il versetto successivo che parla di predicare la vendetta del Signore. No, Dio non sprecherà l'eternità in vendette, nemmeno un minuto. Tutti gli occhi erano fissi su di lui.

Lo conoscono bene quel giovane, sparito per un po' e appena ritornato al villaggio, dov'era cresciuto a pane e lavoro, sinagoga e Torah.

Gesù davanti a loro presenta il suo sogno di un mondo nuovo, senza prigionieri né poveri, senza occhi malati, senza vittime.

Adamo è povero più che peccatore; è fragile prima che colpevole; è che abbiamo le ali tarpate, ci vediamo male e ci sbagliamo facilmente, per questo inciampiamo.

Del vangelo mi sorprende sempre quel parlare di poveri più che di peccatori; di sofferenze più che di colpe. “Il vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione” (G. Vannucci). 

La sinagoga di Nazaret si riempiva di umanità ferita e fragile, di poveri e di ultimi, diventati i principi del Regno. E Dio che si mette alla loro destra, alla loro ombra.

 A Gesù non importa se il povero o il cieco sono giusti o peccatori, se il lebbroso meriti o no la guarigione, se l'adultera avesse o meno buone giustificazioni per il suo gesto. C'è buio e dolore, sofferenza e bisogno, e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio. “Forse Dio è stanco di solenni e austeri devoti, di eroi dell'etica, di eremiti pii e pensosi, forse vuole dei giullari alla san Francesco, felici di vivere (M. Delbrêl). Gesù vuole prigionieri usciti dalle segrete che danzano nel sole.

P. Ermes Ronchi

Il gioco dell'acqua innamorata

C'è festa grande, a Cana: il cortile è pieno di gente in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli.

Ci sono Gesù e sua madre e con loro la variopinta compagnia dei giovani seguaci saliti dai villaggi del lago.

L’intero Israele risuona del grido di morenti, schiavi, lebbrosi, e Gesù non interviene, va ad una festa, quasi giocando con dell’acqua e con del vino. Anziché asciugare lacrime, colma le coppe.

Deve esserci qualcosa di molto importante se questa è la prima pennellata del quadro della salvezza. Il Vangelo chiama questo il “principe dei segni”: se capiamo Cana, capiamo gran parte del Vangelo.

Giovanni non parla di miracolo. Forse ha paura che la gente corra dietro ai maghi, e Gesù non lo è: i suoi sono segni, frecce che indicano una direzione, un senso ulteriore. Quel giorno Gesù scende nel pozzo profondo, là dove la vita inizia a battere il tempo seguendo il ritmo dell’amore.

A un certo punto della festa finisce il vino, simbolo biblico dell’amore. L’amore è sempre così poco, così a rischio, così raro.

Quante volte ci viene a mancare quel “non so che” di gioia, di passione, di sapore per far navigare questa fragile barca che è il nostro cuore. Mancano forse piccoli perdoni, piccole tensioni da chiarire, piccoli gesti di cura. Manca il buon vino.

Anche la relazione amorosa tra l’umanità e Dio si trascina stancamente, senza più gioia.

Cosa fare? Lo suggerisce Maria: Qualunque cosa vi dica, fatela! Sono le sue ultime parole, poi non parlerà più: Fate il suo Vangelo, tutto, e si riempiranno le anfore.

Di un vino migliore, come assicura il maestro di tavola: Tutti servono il vino buono all’inizio. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora.

A noi pare che questa sia la logica delle cose: l’entropia, la diminuzione, il decadimento progressivo, lo spegnersi del calore.

Il vangelo di Cana ci regala una visione controcorrente.

Non importa quali sono stati gli amori che hanno nutrito la tua esistenza, fecondi o sterili, stabili o lacerati, gloriosi o miseri, o forse entrambe queste cose al tempo stesso.

Quali che siano stati, un giorno Gesù se ne farà carico, anzi se ne è già fatto carico, se solo hai deposto le loro anfore di pietra davanti a Lui.

E li trasformerà in una realtà infinitamente migliore.

Con grande sorpresa mia che vedevo le cose finire e l’amore spegnersi; con grande sorpresa di tutti i commensali: Pensavamo di avere gustato il vino migliore all’inizio, pensavamo di averlo già finito, quello bevuto ieri pensavamo fosse il vino migliore.

E invece no, ancora una volta, per un’ultima volta Gesù ripeterà il miracolo di Cana, trasfigurando ogni nostro amore.

Avrà conservato il vino migliore per dopo, e per i secoli dei secoli. E questa è la speranza grande che accende ogni volta il segno di Cana, il principe dei segni!

P. Ermes Ronchi

E il cielo fiorì

Il popolo era in attesa, sognava il messia liberatore, e si ritrova un uomo ai margini del deserto, prosciugato dal sole e dai digiuni, solo voce nel vento.

Anche noi siamo in attesa, ma il nostro è un tempo in cui i sogni ci sono stati rubati. Giovanni invece li aveva riaccesi, e la gente sciamava da Gerusalemme al Giordano. Anche oggi non sono i profeti che mancano, ciò che manca è l’ascolto.

Sei tu il Messia? E Giovanni scende dall’altare delle attese della gente, per dire: no, non sono io. “Viene dopo di me colui che è più forte di me”. Di quale forza? Lui è il più forte perché usa parole di vita, perché ha un fuoco che parla al cuore e così lo seduce, come profetizzava Osea.

Il vangelo di oggi ci incalza: Io sono solo acqua, ma deve arrivare molto di più, un fuoco nel quale saremo immersi. Giovanni che sogna aie bruciate, vento che spazza la pula, incontra un Dio che non conosceva: Gesù, che non è solo buono. È esclusivamente buono, che in fila con gli altri scende al fiume.

Luca non racconta il battesimo, ma più precisamente ciò che accade dopo. “Gesù stava in preghiera, e il cielo si aprì!” Conseguenza meravigliosa, effetto della preghiera: tu preghi e Dio apre il cielo.

La risposta alla preghiera non sono le grazie che noi chiediamo, ma lo sfondamento del cielo chiuso, una feritoia liquida d’azzurro. E fiorisce un azzurro che ristora, un azzurro che non mente: contempli la tua vita dalle stelle, la interpreti dall’alto.

E comprendi che il battesimo accade sempre, su di te scende continuamente lo Spirito del Signore, e tu diventi il nido della colomba di Dio, un nido di parole e di fuoco.

Infatti dal cielo scende un volo di parole: Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento.

FIGLIO, forse la più bella e la più forte tra le parole umane, che illumina un legame per sempre, la radice, la cura, la gioia, la tenerezza generativa, l’amore che non cede e non si volta indietro.

‘Amato’ è la seconda parola. Prima che tu risponda, che tu dica sì o no, il tuo nome per Dio è “amato”. Senza clausole e senza condizioni. Che io sia amato non dipende da me, per fortuna, dipende da Lui, dal suo amore asimmetrico e incondizionato.

‘Mio compiacimento’ è la terza parola. Qui possiamo sbirciare dentro il cuore di Dio: c’è in lui un brivido di piacere. Un Dio che dice è bello che tu ci sia! Tu rendi il mondo più bello, per il solo fatto di esistere. Figlio mio, ti guardo e sono felice. Sono felice di essere tuo padre.

E allora smettiamola di sentirci sempre sotto esame. Non siamo sotto osservazione, ma sotto abbraccio. Non siamo sotto indagine, ma sotto un volo di parole bellissime, sotto un abbraccio infinito.

P. Ermes Ronchi

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