Non temere, hai un nido nelle mani del Signore


«No n temete, non abbiate paura, non abbiate timore». Sono le tre leggi del buon educatore: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. È la pedagogia umanissima di Gesù: quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa avere a che fare con la paura (C. Sommariva).
Eppure io ho paura, perché i passeri continuano a cadere a terra, bambini a migliaia sono rapiti, violati, sommersi in mare, sepolti nella sabbia, venduti per un denaro, gettati via in un cassonetto appena spiccato il loro breve volo.«Ma neppure un passero cade senza il volere di Dio». Allora è Lui che spezza il volo ai passeri? No. Il Vangelo non dice questo, letteralmente dice: senza (àneu, nel greco biblico) il Padre: neppure un passero cadrà a terra senza Dio, che sarà lì, che ci va di mezzo, in ogni volo, in ogni croce, in ogni caduta. E allora il dramma non è solo nostro, «il dramma è anche di Dio». Che non spezza ali, le guarisce, le rafforza, le allunga, le accarezza: «tu sei nel cuore delle cerve e sotto le ali delle rondini» (Turoldo) e ne sostieni il volo. Noi vorremmo non cadere mai, e planare in voli lunghissimi e sicuri.
Ma ci soccorre una buona notizia, un grido da rilanciare dai tetti: «Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri Voi avete il nido nelle mani di Dio». Voi valete: che bello questo verbo! Per Dio, io valgo. Valgo di più di molti passeri, di più di tutti i fiori del campo, di questa e di tutte le primavere che verranno; valgo per lui di più di quanto osavo sperare. Finita la paura di non contare, di dover sempre dimostrare qualcosa. «Non temere» tu vali di più. Per come sei. Così come sei. Al punto che «ti conta tutti i capelli in capo». Il niente dei capelli: Qualcuno mi vuole bene frammento su frammento, fibra su fibra, cellula per cellula. Per chi ama, niente dell'amato è insignificante, nessun dettaglio è senza emozione.
Bello questo Dio che fa per me l'impensabile, ciò che nessuno ha mai fatto, ciò che nessuno farà mai. Verranno notti e reti di cacciatori, verrà anche la morte, ma: nulla mai ci potrà separare dall'amore di Dio (Rm 8,39). Sì, è vero: i passeri e i capelli non sono esentati dalla morte. Ma Gesù mi insegna il diritto a rivendicare fino all'ultima fibra di questo mio corpo che ha testimoniato la bellezza e la fatica del vivere.«Temete piuttosto chi ha potere di far morire l'anima». L'anima può morire? Si. Il lento morire di chi passa i giorni a lamentarsi, diventa schiavo dell'abitudine, non rischia e non cambia... «Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, lentamente muore chi non trova grazia in se stesso» (Martha Medeiros).

Padre Ermes Ronchi

Le sei azioni affidate agli apostoli per il mondo

«Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione».

Tutto ciò che segue è generato dalla compassione, termine di una carica e intensità infinite: il Maestro prova dolore per il dolore del mondo, il molto dolore dell'uomo. Gesù è la compassione, il pianto di Dio fatto carne. Piangere è amare con gli occhi.«La messe è molta...» Ciò che il suo occhio guarda non è lo sterminato accampamento umano dove ha piantato la sua tenda, vede invece molti raccolti di dolore, tante messi di paure, e greggi di pecore sfinite perché non hanno pastore. La sua risposta è un dolore che lo prende alle viscere. E chiama i dodici e lo affida loro: dovranno preservare, custodire, salvare la compassione, il con-patire, il meno zuccheroso dei sentimenti. Salvarlo e seminarlo nel mondo, attraverso sei azioni: predicate, guarite, risuscitate, sanate, liberate e donate.

La missione è duplice: predicare e guarire la vita, o almeno prendersene cura. E il rapporto è sbilanciato, uno a cinque. Cinque opere per guarire, una per narrare. Per proclamare che «Dio è così, si prende cura e guarisce. Dio è vicino a te, con amore» Forse ci saremmo aspettati una risposta più risolutiva al dolore delle folle, un soccorso più efficiente: perché il Signore soccorre la fragilità dell'uomo con la fragilità di altri uomini, anziché con la sua onnipotenza? Perché Lui interviene per i suoi figli, attraverso gli altri suoi figli. La risposta di Gesù alla sofferenza del mondo sono io. “Dio salva attraverso persone” (R. Guardini).

«Pregate il Signore della messe perché mandi operai»... e capisco: “manda me, Signore, come operaio della compassione, raccoglitore di dolore. Manda me come lavoratore della pietà, mietitore di sofferenza; manda me, a mangiare pane di pianto con chi piange, a bere calici di lacrime con chi soffre, a lottare con tutti contro il male. Manda me, Signore, con mani che sostengono e accarezzano, con parole che fasciano il cuore”. La compassione di Dio spezza lo schema buoni/cattivi, meritevoli o no. Posa due binari sui quali andare oltre i deserti aridi del paradigma buono/cattivo: sono le mani della pietà e le labbra della preghiera, che rendono l'amore cristiano ciò che deve essere, un amore sempre meno selettivo. Ogni figlio di Dio che ha bevuto alla Fonte Amorosa della vita, merita di bere un sorso al mio piccolo ruscello.«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Scandalo e bellezza: Dio non aspetta di essere riamato, intanto ama; non attende di essere ricambiato, intanto dona. Gesù è il racconto di questo Dio inedito, passione di compassione, annuncio che solo un amore senza condizioni può generare amanti senza condizioni.

Padre Ermes Ronchi

Il Corpo di Cristo «lievito di vita»

«Ricordati del cammino», sussurra la prima Lettura. Ricordati! Perché l'oblio è la radice di tutti i mali. Ricorda il deserto e il monte, il vento delle piste, la bellezza dell'anima affaticata dal richiamo di cose lontane. E poi la manna scesa all'improvviso, quando non l'aspettavi più. Ricordati del tuo deserto tra scorpioni e serpenti, ma soprattutto dell'acqua giunta sotto forma di una risposta, un amore bello, un amico, una musica. Improvvisi squarci si sono aperti a dirti che non sei solo, che non sei smarrito tra le dune del deserto.

Che Dio è acqua e pane incamminati verso la tua fame. La mia forza è sapermi cercato, con la mia vita distratta e le risposte che non do; sapermi desiderato è tutta la mia pace. Io vivo di Dio. Ricordati del cammino: dialoga con la storia della tua vita, rimani nella tua sorgente limpida. Il Vangelo oggi ha solo otto versetti, è Gesù a ripetere per otto volte: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. Quasi un ritmo incantatorio, una divina monotonia, nello stile di Giovanni, che avanza per cerchi concentrici e ascendenti, come una spirale; come un sasso che getti nell'acqua e vedi i cerchi delle onde che si allargano sempre più. È il discorso più dirompente di Gesù: mangiate la mia carne e bevete il mio sangue. Un invito che sconcerta amici e avversari, e lui che ostinatamente ne ribadisce, per otto volte, come in otto cerchi, la motivazione, sempre più chiara e diretta: per vivere, semplicemente vivere, per vivere davvero. Altro è vivere, altro è lasciarsi vivere. È l'incalzante convinzione di Gesù di possedere qualcosa che cambia la direzione e la qualità della vita. È il dono di Dio. Il dono di Dio è Dio che si dona: si dona e si perde dentro le sue creature come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo.

«Carne, sangue, pane di cielo» indicano la totalità della sua vicenda umana e divina, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, la casa che si riempie di profumo, la pietra che rotola via. È Dio in ogni fibra. Un pezzo di Dio in me perché io salvi un pezzetto di Dio nel mondo. Il suo invito pressante significa: mangia e bevi ogni goccia e ogni fibra di me. Vivi di me. Prendi la mia vita come misura alta del vivere, come lievito del tuo pane, seme del tuo campo, sangue delle tue vene, allora conoscerai cosa sia vivere davvero. Mangiare e bere Cristo significa più che «fare la comunione» eucaristica, è «farmi comunione con Lui».Il Verbo si è fatto carne perché la carne si faccia Spirito. L'Eterno cerca la nostra setacciata briciola di cielo; per poi ridarcela, luminosa e serena.

Padre Ermes Ronchi

La Trinità è specchio del senso dell'universo

Per dire la Trinità, Gesù usa nomi di famiglia, di casa, nomi che abbracciano e stringono legami: Padre, Figlio, Spirito buono, alito che fa respirare la vita.

La festa della Trinità è l'annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci raggiunge e ci dà il suo cuore plurale. Allora capisco perché la solitudine mi pesa così tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura. Allora capisco perché quando sono con chi mi ama, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione. La Trinità è lo specchio del mio senso ultimo, e del senso dell'universo: tutto incamminato verso un Padre fonte di libere vite, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di comunione le nostre solitudini. Anche l'autopresentazione di Dio sul monte Sinai, davanti al suo grande amico Mosè, ha nomi caldi: misericordioso, pietoso, lento all'ira, ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6).

Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza. E Mosè capisce e prega: “Che il Signore cammini in mezzo a noi, venga in mezzo alla sua gente. Non resti sul monte, guida alta e lontana, ma scenda e si perda in mezzo al calpestio del popolo”. Tutta la Scrittura ci assicura che nel calpestio del popolo, nella polvere dei nostri sentieri, lo Spirito accende i suoi roveti e i suoi profeti; il Padre rallenta il passo sul ritmo del nostro; il Figlio è salvezza che ci cammina a fianco: «venuto non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato» (Gv 3,17).

Lui non condanna e neppure giudica: «Io non giudico!» (Gv 8.15). Parola dirompente, da ripetere alla nostra fede paurosa settanta volte sette! Io non giudico, né per sentenze di condanna, né per verdetti di assoluzione. Posso pesare i monti con la stadera e il mare con il cavo della mano (Is 40,12), ma l'uomo non lo peso e non lo misuro: lo amo; non preparo né bilance, né tribunali, perché non giudico, io salvo.

“Di’ loro ciò che il vento dice alle rocce,

ciò che il mare dice alle montagne.

Di’ loro che una bontà immensa penetra l'universo,

di’ loro che Dio non è quello che credono,

che è un vino di festa, un banchetto di condivisione

in cui ciascuno dà e riceve.

Di’ loro che Dio è Colui che suona il flauto

nella luce piena del giorno,

si avvicina e scompare, e ci chiama alle sorgenti.

Di’ loro l'innocenza del suo volto,

i suoi lineamenti, il suo sorriso.

Di’ loro che Egli è il tuo spazio e la tua notte,

la tua ferita e la tua gioia.

Ma di’ loro, anche, che Egli non è ciò che tu dici di Lui,

che la sua tenda è sempre oltre..."

(Comm. Franc. Cistercense).

Padre Ermes Ronchi

Pentecoste, la sinfonia di linguaggi dello Spirito


Lo Spirito Santo è Dio in libertà. Rifiuto della monotonia. Scelta della sinfonia. Ultima parola, che si offre sempre come nuova, come altra: alla nave come costa, alla terra come nave; al navigante come nostalgia di casa, all'uomo di casa come nostalgia del mare. Dio in libertà. Che fa cose che non t'aspetti. Che dà a Maria un figlio "fuorilegge'", a Elisabetta un figlio profeta. E a noi dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno per dare, a nostra volta, vita, o meglio ancora: per dare alla vita. La Parola di Dio oggi prova una sinfonia di linguaggi per tentare di dire qualcosa della vastità dello Spirito: non sono che semplici fessure, feritoie aperte sul mistero.
1. La prima lettura (Atti 2,1-11) racconta di Apostoli come "ubriachi", inebriati da qualcosa che li ha storditi di gioia, come un capogiro, una divina seduzione, violenta e felice. E la prima Chiesa, arroccata sulla difensiva, viene lanciata fuori e in avanti. La nostra Chiesa tentata, oggi come allora, di arroccarsi e chiudersi, perché in crisi di numeri, perché aumentano coloro che si dichiarano indifferenti o infastiditi, questa Chiesa, amata e infedele, può ancora attingere a quello slancio originario.
2. Il salmo tra le letture (Sal 104,30) apre la seconda fessura: "Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra". Una delle affermazioni più belle e rivoluzionarie della nostra fede è offerta dalla Prece eucaristica III, quando il presidente proclama: "Tu, che per mezzo di Cristo e per opera dello Spirito fai vivere e santifichi l'universo". Non solo l'uomo, ma tutto ciò che esiste; non solo doni vita, ma semini santità nell'universo, santità della luce, l'umile santità del bosco, del bambino che nasce, del cuore che ama, dell'anziano che pensa. Una divina liturgia santifica l'universo.
3. La terza finestra sulla Pentecoste la apre Paolo nella seconda lettura (1Cor 12,5). Lo Spirito dà a ciascuno una manifestazione particolare per il bene comune. Sposa vite diverse, consacra vocazioni differenti, benedice la genialità e l'unicità di ogni vita. Lo Spirito non vuole banali ripetitori, ma discepoli geniali, edificatori di una Chiesa che trova unità attorno alla croce, varietà e creatività attorno allo Spirito.
4. Infine il Vangelo racconta la Pentecoste come un incontro leggero nella sera di Pasqua: "soffiò su di loro e disse: ricevete lo Spirito santo" (Gv 20,22). In quella stanza chiusa e dall'aria stagnante, entra il grande, ampio e profondo ossigeno del cielo. Entra il respiro di Dio che non sopporta schemi e chiusure, che viene per farci vivi, sottile e profondo come il respiro, umile e testardo come il battito del cuore.

Padre Ermes Ronchi

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