Cookie policy

Cosa sono i cookie? I cookie sono piccoli file di testo che vengono memorizzati sul tuo dispositivo quando visiti un sito web. Questi file permettono al sito di riconoscere il tuo dispositivo e ricordare alcune informazioni su di te, come le preferenze di navigazione o i dati di accesso. Tipi di cookie utilizzati Cookie tecnici: Questi cookie sono essenziali per il funzionamento del sito e permettono di utilizzare le sue funzionalità principali. Senza questi cookie, alcuni servizi potrebbero non funzionare correttamente. Cookie di analisi: Questi cookie raccolgono informazioni su come i visitatori utilizzano il sito, come le pagine visitate e gli eventuali errori riscontrati. Le informazioni raccolte sono anonime e vengono utilizzate solo per migliorare il funzionamento del sito. Cookie di profilazione: Questi cookie vengono utilizzati per creare profili degli utenti e inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze mostrate durante la navigazione. Cookie di terze parti Il nostro sito utilizza anche cookie di terze parti, come quelli di Google Analytics, per raccogliere informazioni statistiche aggregate sull’uso del sito. Questi cookie sono gestiti da terze parti e non abbiamo accesso alle informazioni raccolte. Gestione dei cookie Puoi gestire le tue preferenze sui cookie direttamente dal tuo browser. La maggior parte dei browser ti permette di accettare o rifiutare tutti i cookie, o di accettare solo alcuni tipi di cookie. Consulta la sezione “Aiuto” del tuo browser per sapere come fare.

Beati voi poveri


Un vangelo potente e inarrivabile.

Da oltre cinquant’anni lotto con questo vangelo, che mi sfugge sempre. Le parole che cerco di allineare sono come uccellini che sbattono contro le pareti della gabbia, a dire poco più del nulla che capiamo di queste parole immense.

 “Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri”, aveva detto nella sinagoga. Ed eccolo qui, il miracolo: beati voi poveri.

Il luogo della felicità è Dio, ma il luogo di Dio sono le infinite croci degli uomini.

E aggiunge alla fine un’antitesi abbagliante: non sono i poveri il problema del mondo, ma i ricchi: guai a voi ricchi!

Sillabe sospese tra sogno e miracolo, osate, prima ancora che da Gesù, da sua madre nel canto del Magnificat: “ha saziato gli affamati di vita, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. (Lc 1,53). Questi oracoli profetici, anzi più-che-profetici, quel “beati” che contiene pienezza, felicità, completezza, grazia, incollato a persone affamate e in lacrime, a poveracci, a disgraziati, ai bastonati dalla vita, ci obbliga a un capovolgimento di prospettiva, a guardare la storia con gli occhi dei poveri e dei piccoli, non con quelli dei ricchi e dei potenti, altrimenti non cambierà mai niente.

E ci saremmo aspettati: “beati voi poveri perché ci sarà un capovolgimento, un’alternanza, diventerete voi i signori”.

No. Il progetto di Dio è più profondo. C’è di mezzo il Regno dei cieli, che non è il paradiso o l’al di là, ma una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.

Il mondo non appartiene a chi se ne impossessa o lo compra, ma a chi lo rende migliore. E non sarà reso migliore da coloro che hanno accumulato più denaro.

Beati voi… Il vangelo più alternativo che si possa pensare, il manifesto più stravolgente e contromano. Eppure, al tempo stesso, senti che è amico della vita, vangelo amico.

Perché le beatitudini non sono un comandamento, un ordine da eseguire, ma il cuore dell’annuncio di Gesù: la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, Dio regala gioia a chi costruisce pace. 

In esse è l’inizio della guarigione del cuore, perché il cuore guarito sia l’inizio della guarigione del mondo. Guai a voi, ricchi, sazi, gaudenti, famosi. I quattro “guai” ci inquietano un po’, ma non sono delle maledizioni: Dio non maledice le sue creature, mai, la sua è la voce della tristezza del padre in pena per i figli che si stanno perdendo.

“Guai” non suona come una minaccia, ma come il gemito dei lamenti funebri, il singhiozzo del pianto su chi appare come morto. “Guai”: e vi sento dentro il lamento di Gesù, che piange i ricchi e i sazi come coloro che si sono sbagliati su ciò che è vita e ciò che non lo è; e sono diventati gli idolatri del vuoto, gli amanti del nulla. E gli idoli sono crudeli, spietati: divorano i loro stessi adoratori.

P. Ermes Ronchi

Lui sulla mia barca


Senza neppure chiedersi dove Gesù li avrebbe condotti. Lo seguono in piena incoscienza.

Perché il motivo di tutto è solo lui, quel Rabbi dalle parole folgoranti. Allontanati da me, aveva detto Pietro; e alla fine si allontanano ma insieme, verso un altro mare, lasciando sulla riva le barche riempite fino all’orlo dal miracolo. Sono i “futuri di cuore”.

Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. E Gesù in piedi vede. Vede “due barche”, dice il Vangelo, ma io credo che veda tutta la delusione e la tristezza del mondo sui volti dei pescatori, che in disparte lavano le reti vuote.

Il maestro parla con linguaggio universale e immagini semplicissime, non dal pinnacolo del tempio ma dalla barca di un pescatore di Cafarnao. Non da luoghi sacri, ma da un angolo umanissimo e laico, in mezzo alle attività umane, non padrone, ma ospite dello spazio umano, delle periferie, delle attese, delle delusioni.

Gesù di fronte a uomini in crisi, per un pescatore non pescare è la crisi d’identità, usa tutta la sua sapienza e delicatezza: prega Simone di staccarsi un po’ dalla riva.

Sale sulla barca di Simone e lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca. Così il maestro sale sulla barca della mia vita e mi prega di ripartire con quel poco che ho, con quel poco che so fare, per affidarmi un nuovo mare.

Prendi il largo e getta le tue reti.
Sulla tua parola le getterò. Simone si fida e si avvia il miracolo. Una quantità enorme di pesci, una quantità di giorni pieni di pane e di luce per lui e per tutti coloro che sulla sua parola getteranno le reti.

Un prodigio. Un segno. Simone ha paura: Allontanati da me, perché sono un peccatore. Gesù sull’acqua del lago ha una reazione bellissima. Lui, il grande pescatore di uomini, alle parole di Simone non risponde “non sei peggio degli altri”, non giudica, non condanna, ma neppure assolve.

A lui non interessa giudicare neppure in vista di una assoluzione, a lui interessa il frutto, la pesca abbondante, la fecondità della vita e non la purezza fondamentalista. Mette oro nelle ferite. Gesù pronuncia una parola solenne e inattesa:
Non temere, d’ora in avanti tu sarai… e il futuro conta più del presente, più del passato. D’ora in avanti cercherai uomini, raccoglierai vite per la vita. E il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi. Io non sono che un perdonato, uno che non ha preso niente, ma che ora sulla tua parola getterà le reti ancora. Sono il primo dei paurosi, l’ultimo dei coraggiosi, ma d’ora in avanti qualcosa sarò, Signore, se la tua grazia farà del mio nulla qualcosa che serva a qualcuno

P. Ermes Ronchi

Fessura sull'infinito


Maria e Giuseppe portarono il Bambino al tempio, per presentarlo al Signore. Una giovane coppia col suo primo bambino porta la povera offerta dei poveri, due tortore, ma anche il più prezioso dono del mondo: un bambino.Sulla soglia, due anziani in attesa, Simeone e Anna: “Che attendevano”, dice Luca, cioè che avevano speranza. Perché le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese (S. Weil). Quando il discepolo è pronto, il maestro arriva.

Non sono le gerarchie religiose ad accogliere il bambino, ma due laici innamorati di Dio, occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio, il passato che tiene fra le braccia il futuro del mondo.

Perché Gesù non appartiene all’istituzione, non è dei preti ma dell’umanità. È Dio che si incarna nelle creature e tracima dovunque, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, ai sognatori, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato. Dio lo incontri attraverso la tua umanità.

Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che “non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia”. Sono parole che la Bibbia conserva perché le stampiamo nel cuore: anch’io, come Simeone, non morirò senza aver visto il Signore. Il viaggio non finirà nel nulla, ma in un abbraccio.

Io non morirò senza aver visto l’offensiva di Dio, l’offensiva della luce, che è già in atto dovunque; l’offensiva del bene che, anche se invisibile, lievita e fermenta nelle vene del mondo.

“Simeone aspettava la consolazione di Israele”. Lui sapeva aspettare, come fa chi ha speranza. Se attendi, gli occhi si fanno attenti, penetranti, vigili. E vedono: “ho visto la luce, da te preparata per tutti”!

Ma quale luce emana da questo piccolo figlio della terra, un neonato che sa solo piangere e succhiare il latte? Il sapiente d’Israele ha colto l’essenziale: la luce di Dio è Gesù, è carne illuminata, storia fecondata, innesto del cielo nella terra.

La salvezza non è un’opera particolare, un fatto preciso, ma è Dio che è venuto, si è perso nel mondo, è naufragato negli amori, si è impigliato nei sorrisi e nelle croci dello sterminato accampamento umano, si è nutrito anche lui dei nostri nutrimenti umani. E non se ne andrà più.

“Egli è qui per la risurrezione”: per lui nessuno è perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare da capo e ripartire ad ogni alba. È qui come una mano che ti prende per mano e ti tira su, sussurrando: 

 “talità kum”, bambina alzati! Sorgi, rivivi, risplendi, riprendi la danza della vita.

“Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui”. Tornarono alla santità, alla profezia e al magistero della famiglia, che vengono prima di quello del tempio; alla casa dove arde in appartata fiamma la vita; alla famiglia che è santa perché l’amore vi celebra la sua festa, e ne fa la più viva fessura sull’infinito.

P. Ermes Ronchi

Occhi su Gesù

A Gesù non importa se il povero e il cieco sono giusti o peccatori, nel vangelo si parla di sofferenze più che di colpe. C'è buio e dolore, e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio.

Gesù ha cercato con cura quel brano nel rotolo: conosce bene le Scritture, ci sono mille passi che parlano di Dio, ma lui sceglie questo, dove l'umanità è definita con quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa. Adamo è diventato così, ed è per questo che Dio diventa Adamo.

Allora chiude il libro, apre la vita, vi si immerge: il suo programma è portare gioia, libertà, occhi guariti, liberazione. Un messia che non impone pesi, ma li toglie; che non porta precetti, ma orizzonti.

Luca ci racconta un'icona da stampare nel cuore. Lo fa quasi alla moviola per farci comprendere l'estrema importanza di questo momento.

Nella sinagoga gremita Gesù si alza, prende, cerca con cura, legge. Poi arrotola il volume, lo riconsegna, si siede. Tutti gli occhi sono fissi su di lui, e nel grande silenzio risuonano le prime parole ufficiali di Gesù: “oggi la parola di Isaia si realizza”.

Ed è così forte questa affermazione: il vangelo non è una chiacchiera, la Parola non è teoria, cambia le cose, orienta le scelte, è spada a due tagli.

Gesù nella proclamazione ha censurato il profeta Isaia, non legge il versetto successivo che parla di predicare la vendetta del Signore. No, Dio non sprecherà l'eternità in vendette, nemmeno un minuto. Tutti gli occhi erano fissi su di lui.

Lo conoscono bene quel giovane, sparito per un po' e appena ritornato al villaggio, dov'era cresciuto a pane e lavoro, sinagoga e Torah.

Gesù davanti a loro presenta il suo sogno di un mondo nuovo, senza prigionieri né poveri, senza occhi malati, senza vittime.

Adamo è povero più che peccatore; è fragile prima che colpevole; è che abbiamo le ali tarpate, ci vediamo male e ci sbagliamo facilmente, per questo inciampiamo.

Del vangelo mi sorprende sempre quel parlare di poveri più che di peccatori; di sofferenze più che di colpe. “Il vangelo non è una morale, ma una sconvolgente liberazione” (G. Vannucci). 

La sinagoga di Nazaret si riempiva di umanità ferita e fragile, di poveri e di ultimi, diventati i principi del Regno. E Dio che si mette alla loro destra, alla loro ombra.

 A Gesù non importa se il povero o il cieco sono giusti o peccatori, se il lebbroso meriti o no la guarigione, se l'adultera avesse o meno buone giustificazioni per il suo gesto. C'è buio e dolore, sofferenza e bisogno, e tanto basta per far piaga nel cuore di Dio. “Forse Dio è stanco di solenni e austeri devoti, di eroi dell'etica, di eremiti pii e pensosi, forse vuole dei giullari alla san Francesco, felici di vivere (M. Delbrêl). Gesù vuole prigionieri usciti dalle segrete che danzano nel sole.

P. Ermes Ronchi

Il gioco dell'acqua innamorata

C'è festa grande, a Cana: il cortile è pieno di gente in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli.

Ci sono Gesù e sua madre e con loro la variopinta compagnia dei giovani seguaci saliti dai villaggi del lago.

L’intero Israele risuona del grido di morenti, schiavi, lebbrosi, e Gesù non interviene, va ad una festa, quasi giocando con dell’acqua e con del vino. Anziché asciugare lacrime, colma le coppe.

Deve esserci qualcosa di molto importante se questa è la prima pennellata del quadro della salvezza. Il Vangelo chiama questo il “principe dei segni”: se capiamo Cana, capiamo gran parte del Vangelo.

Giovanni non parla di miracolo. Forse ha paura che la gente corra dietro ai maghi, e Gesù non lo è: i suoi sono segni, frecce che indicano una direzione, un senso ulteriore. Quel giorno Gesù scende nel pozzo profondo, là dove la vita inizia a battere il tempo seguendo il ritmo dell’amore.

A un certo punto della festa finisce il vino, simbolo biblico dell’amore. L’amore è sempre così poco, così a rischio, così raro.

Quante volte ci viene a mancare quel “non so che” di gioia, di passione, di sapore per far navigare questa fragile barca che è il nostro cuore. Mancano forse piccoli perdoni, piccole tensioni da chiarire, piccoli gesti di cura. Manca il buon vino.

Anche la relazione amorosa tra l’umanità e Dio si trascina stancamente, senza più gioia.

Cosa fare? Lo suggerisce Maria: Qualunque cosa vi dica, fatela! Sono le sue ultime parole, poi non parlerà più: Fate il suo Vangelo, tutto, e si riempiranno le anfore.

Di un vino migliore, come assicura il maestro di tavola: Tutti servono il vino buono all’inizio. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora.

A noi pare che questa sia la logica delle cose: l’entropia, la diminuzione, il decadimento progressivo, lo spegnersi del calore.

Il vangelo di Cana ci regala una visione controcorrente.

Non importa quali sono stati gli amori che hanno nutrito la tua esistenza, fecondi o sterili, stabili o lacerati, gloriosi o miseri, o forse entrambe queste cose al tempo stesso.

Quali che siano stati, un giorno Gesù se ne farà carico, anzi se ne è già fatto carico, se solo hai deposto le loro anfore di pietra davanti a Lui.

E li trasformerà in una realtà infinitamente migliore.

Con grande sorpresa mia che vedevo le cose finire e l’amore spegnersi; con grande sorpresa di tutti i commensali: Pensavamo di avere gustato il vino migliore all’inizio, pensavamo di averlo già finito, quello bevuto ieri pensavamo fosse il vino migliore.

E invece no, ancora una volta, per un’ultima volta Gesù ripeterà il miracolo di Cana, trasfigurando ogni nostro amore.

Avrà conservato il vino migliore per dopo, e per i secoli dei secoli. E questa è la speranza grande che accende ogni volta il segno di Cana, il principe dei segni!

P. Ermes Ronchi

Indirizzo e contatti

Siamo a Sesto Fiorentino (Fi)

  • Via Antonio Gramsci 691-693
  • +39 055-442753
  • info[at]santacroceaquinto.it

Orari S. Messe

Messa feriale da lunedì a sabato: ore 8:30 ~ 17.30
Messa festiva del sabato: ore 18:00
Messe festive domenicali: ore 8:00 ~ 10:00 ~ 11.30 ~ 18.00

Search

Free Joomla templates by Ltheme