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Perdonare l'altro, perché perdonati dal Padre

«  Così anche il Padre mio celeste farà̀ con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Bellissimo questo stupore per l'illogico perdono: fino a settanta volte sette. Dio che rompe i nostri bilancini, che rimette i debiti sempre, che libera non come uno smemorato che dimentica il male, ma con la casta follia della croce che si prende gioco della logica e degli equilibri umani e anche delle mie morti quotidiane. Lui è l'Innamorato che vede primavere dentro i miei inverni. Il servo, appena uscito, appena visto quanto sia grande un cuore di re, appena liberato, preso il suo compagno per il collo lo strangolava: ridammi i miei centesimi! Lui, perdonato di milioni. Quel servo non è ingiusto, è senza cuore. Tecnicamente non è disonesto, è crudele. Davvero è possibile essere onesti e spietati. Non dovevi anche tu aver pietà? Non dovevi anche tu agire come agisco io? Tu come me, io come Dio, la creatura come il creatore... Chiave di volta di tutta la morale biblica. Perché avere pietà? Semplice: per un battito all'unisono con il battito di Dio. Nella Bibbia ogni indicativo divino (ogni azione riferita a Dio) diventa un imperativo umano, per la pienezza e lo sconfinamento in alto. Un istinto in noi ci fa credere che il male si possa “riparare” mediante un altro male, ferendo chi ci ha ferito. Occhio per occhio. Non più una, ma due ferite che sanguinano. Il perdono invece, che forse non guarirà la ferita, ci aiuta a sentire che non tutto il mondo impugna un'arma. Che ci sono anche mani che accarezzano oltre a quelle che mi hanno schiaffeggiato. Ci libera dallo sguardo torvo che vede nemici dovunque: lo sconosciuto in fila con te o un barcone di migranti. Il perdono è de-creazione del male, lo blocca, gli impedisce di proliferare; ci concede il lusso di non trascinarci dietro all'infinito i nostri errori e i nostri dolori, come patiboli interiori su cui inchiodiamo noi stessi e gli altri. “Il perdono ci strappa dai circoli viziosi, spezza le coazioni a ripetere su altri il male subìto, rompe la catena della colpa e della vendetta, spezza le simmetrie dell'odio” (Hanna Arendt).

Il tempo del perdono è il coraggio dell'anticipo, senza aspettare che tutto sia a posto; il coraggio degli inizi e delle ripartenze; non un colpo di spugna sulla vita, ma un colpo d'ali che non libera il passato, libera il futuro; un colpo di vento sulla mia barca: Io la vela. Dio il vento. Dio perdona per un atto di fede nell'uomo, perché vede noi oltre noi, vede la luce prima dell'ombra, il santo prima del peccatore, le spighe di buon grano prima della zizzania. Vede che ogni vita è grembo pronto a un di più. E il perdonante ha gli stessi occhi di Dio. Scandalo per la giustizia, follia per l'intelligenza, ma consolazione per noi debitori.

Padre Ermes Ronchi

Far crescere la fraternità è il tesoro della storia

 
Tutto comincia quando ci sentiamo debitori, dice Paolo; quando ci sentiamo custodi dell'altro, dice il Profeta; debitori senza pretese e custodi attenti: sono i due nomi belli di ogni persona in relazione. E il terzo è offerto dal Vangelo: restauratori di legami, coloro che incessantemente rammendano il tessuto continuamente lacerato delle relazioni. Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, vai e ammoniscilo. Tu fa’ il primo passo, ricomincia il dialogo, sospinto dal vento di comunione che è Dio, “cemento del cosmo, forza di coesione della materia, collante delle vite” (Turoldo). Quando un io e un tu ricompongono un noi, quando riparano l'alleanza, il legame che si ri-crea è il mattone elementare della casa comune, il sentiero del Regno, la porta di Dio.

Ma che cosa mi autorizza a intervenire nella vita di una persona? Nient'altro che la parola fratello, percepire l'altro come fratello o sorella... non l'impalcarsi a difesa della verità, non il credersi i raddrizzatori dei torti del mondo, ciò che ci autorizza è la custodia direbbe Ezechiele, è l'I care di don Milani: mi stai a cuore e mi prendo cura. Solo chi ci ama sa prendersi cura e ammonirci nel modo giusto, gli altri sanno solo ferire o adulare. Dopo aver così interrogato il tuo cuore, tu va' e parla, tu fa’ il primo passo, prova tu a riallacciare la relazione. Lontano dalle apparenze, nel cuore della vita, tutto inizia dal mattoncino elementare della realtà, il rapporto io-tu. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello. Verbo stupendo: guadagnare un fratello. C'è gente che accumula denaro, gente che guadagna prestigio o potere, e poi c'è gente che guadagna fratelli. Il crescere della fraternità è il tesoro della storia, dobbiamo investire tutto nel capitale relazionale, l'unico investimento che produce vera crescita. E alla fine del percorso di ricomposizione tracciato da Gesù, il Vangelo riporta una frase da capire bene: se non ascolta neppure i testimoni, neppure la comunità, quel fratello sia per te come il pagano e il pubblicano. Lo considererai un escluso, uno scarto, un rifiuto? No. Con lui ti comporterai come Gesù, che siede a mensa con Matteo e i pubblicani di Cafarnao, che discute di figli, di briciole e cagnolini con una donna pagana. Questo percorso mi fa sentir bene dentro la prima espressione del Vangelo di oggi: quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Parola che scavalca la liturgia: “Non nell'io, non nel tu, lo Spirito risiede nell'io-tu” (M. Buber). Il Signore respira meglio quando è catturato dentro quei nostri abbracci che, qualche volta almeno, ci hanno fatto meravigliosamente perdere il fiato.

Padre Ermes Ronchi

Scuola biblica 2023-24

La fisica dell'amore

Con questo brano Matteo ci conduce allo spartiacque del suo Vangelo. Terminano i giorni dell’insegnamento, dell’itineranza libera e felice sulle strade di Palestina; inizia il grande racconto della passione, morte e risurrezione. Da allora l’intera storia umana si specchia nel volto di un Dio crocifisso. È lo scandalo del cristianesimo. Accettare Gesù come Messia è ammissibile, ma che il Messia debba finire di morte orrenda, non è accettabile. Con l’angoscia di Pietro, anche noi ripetiamo a Gesù: Ma tu vuoi davvero salvare questa storia naufraga lasciandoti uccidere? Non servirà!

La croce, questo segno semplicissimo, due sole linee come un uccello in volo, come un uomo a braccia aperte o un aratro che incide madre terra; questa immagine che abita gli occhi di tutti, che pende al collo di molti, che segna vette di monti, campanili, ambulanze, ha in realtà il suo profondo senso altrove.

La croce è follia. Un «suicidio per amore», sosteneva Alain Resnais. Gesù la vede profilarsi all’orizzonte a causa della sua indomita passione per Dio e per l’uomo, passioni che non può tradire, sarebbe per lui più mortale della morte stessa.

E per noi, cos’è la croce? Per capirlo basta sostituire una parola. Se qualcuno vuol seguirmi, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace e mi segua.

La croce del discepolo non sono le fatiche, le malattie, il dolore quotidiano, tutte cose inevitabili, ma solo da sopportare. La croce è da scegliere come riassunto di un destino, di un amore. Ci dice: ricordati che chi vive solo per sé muore; che il vero dramma non è perdere la vita, ma non avere nulla per cui valga la pena spenderla.

All’orizzonte si stagliano Gerusalemme e i giorni supremi. Gesù li affronta scegliendo di non assomigliare ai potenti. Unici invincibili sono i poveri, sola supremazia è la tenerezza, contro la quale i poteri del mondo sono solo polvere.

Ed ecco il centro del brano: chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l’accento sul “perdere” la vita. Ma se l’ascolti bene, senti che l’accento corre dritto sul “trovare” vita, non sul perderla.

Trovare vita è quella cosa che tutti rincorrono, ogni giorno e in ogni angolo del mondo. Perdere per trovare. È la fisica dell’amore: se dai, ti arricchisci; se trattieni, ti impoverisci.

Ci ricorda Einstein: «Il dramma del mondo non è che alcuni fanno il male, ma che la maggioranza non si oppone al male». Non c’è pace se ci conformiamo a questo mondo; non c’è pace se ci conformiamo alla paura di un amore serio. Non c’è pace se dimentico che ho un’anima e che l’anima in me è il respiro di Dio, e che questo respiro vale più di tutto il mondo. Senza di esso sarei niente, polvere e cenere; con esso sono eterno: si spegneranno le stelle prima che io mi spenga.

Padre Ermes Ronchi

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