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Santi sono gli uomini e le donne delle Beatitudini

I santi sono gli uomini delle Beatitudini. Queste parole sono il cuore del Vangelo, il racconto di come passava nel mondo l'uomo Gesù, e per questo sono il volto alto e puro di ogni uomo, le nuove ipotesi di umanità. Sono il desiderio prepotente di un tutt'altro modo di essere uomini, il sogno di un mondo fatto di pace, di sincerità, di giustizia, di cuori limpidi.
Al cuore del Vangelo c'è per nove volte la parola beati, c'è un Dio che si prende cura della gioia dell'uomo, tracciandogli i sentieri. Come al solito, inattesi, controcorrente. E restiamo senza fiato, di fronte alla tenerezza e allo splendore di queste parole.
Le Beatitudini riassumono la bella notizia, l'annuncio gioioso che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.
Quando vengono proclamate sanno ancora affascinarci, poi usciamo di chiesa e ci accorgiamo che per abitare la terra, questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto più difficile, incredibile, stravolgente e contromano che l'uomo possa pensare.
La prima dice: beati voi poveri. E ci saremmo aspettati: perché ci sarà un capovolgimento, perché diventerete ricchi.
No. Il progetto di Dio è più profondo e vasto. Beati voi poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell'altra vita! Beati, perché c'è più Dio in voi, più libertà, più futuro.
Beati perché custodite la speranza di tutti. In questo mondo dove si fronteggiano lo spreco e la miseria, un esercito silenzioso di uomini e donne preparano un futuro buono: costruiscono pace, nel lavoro, in famiglia, nelle istituzioni; sono ostinati nel proporsi la giustizia, onesti anche nelle piccole cose, non conoscono doppiezza. Gli uomini delle Beatitudini, ignoti al mondo, quelli che non andranno sui giornali, sono invece i segreti legislatori della storia.
La seconda è la Beatitudine più paradossale: beati quelli che sono nel pianto. In piedi, in cammino, rialzatevi voi che mangiate un pane di lacrime, dice il salmo. Dio è dalla parte di chi piange ma non dalla parte del dolore! Un angelo misterioso annuncia a chiunque piange: il Signore è con te. Dio non ama il dolore, è con te nel riflesso più profondo delle tue lacrime, per moltiplicare il coraggio, per fasciare il cuore ferito, nella tempesta è al tuo fianco, forza della tua forza.
La parola chiave delle Beatitudini è felicità. Sant'Agostino, che redige un'opera intera sulla vita beata, scrive: abbiamo parlato della felicità, e non conosco valore che maggiormente si possa ritenere dono di Dio. Dio non solo è amore, non solo misericordia, Dio è anche felicità. Felicità è uno dei nomi di Dio.

padre Ermes Ronchi

Un cuore che ama il Signore si dilata per amare gli altri

 

Qual è, nella Legge, il grande comandamento? Lo sapevano tutti qual era: secondo i rabbini d'Israele era il terzo, quello che prescrive di santificare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato («e il settimo giorno si riposò», Genesi 2,2).
La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, colloca invece al cuore del suo Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai, che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno.
Le leggi che reggono il mondo dello spirito e quelle che reggono la realtà vivente sono le stesse. Per questo: «quando si riesce ad esprimere adeguatamente e con bellezza il Vangelo, sicuramente quel messaggio risponderà alle domande più profonde dei cuori» (Evangelii gaudium, 265). Nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco nel cuore di Dio.
Amerai, dice Gesù, usando un verbo al futuro, come una azione mai conclusa. Amare non è un dovere, ma una necessità per vivere.
Cosa devo fare, domani, per essere ancora vivo? Tu amerai.
Cosa farò anno dopo anno? Tu amerai.
E l'umanità, il suo destino, la sua storia? Solo questo: l'uomo amerà.
Ed è detto tutto. Qui gettiamo uno sguardo sulla fede ultima di Gesù: lui crede nell'amore, si fida dell'amore, fonda il mondo su di esso.
Amerai Dio con tutto il cuore. Non significa ama Dio esclusivamente e nessun altro, ma amalo senza mezze misure. E vedrai che resta del cuore, anzi cresce e si dilata, per amare il marito, il figlio, la moglie, l'amico, il povero. Dio non è geloso, non ruba il cuore, lo dilata.
Ama con tutta la mente. L'amore è intelligente: se ami, capisci di più e prima, vai più a fondo e più lontano. Amo molto quel proverbio inglese che dice «clarity, charity»: chiarezza, carità. La chiarezza si raggiunge percorrendo la via dell'amore (J. Tolentino).
Gli avevano domandato il comandamento grande e lui invece ne elenca due. La vera novità non consiste nell'avere aggiunto l'amore del prossimo, era un precetto ben noto della legge antica, ma nel fatto che le due parole insieme, Dio e prossimo, fanno una sola parola, un unico comandamento. Dice infatti: il secondo è simile al primo. Amerai l'uomo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio, il fratello ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il suo grido è da ascoltare come fosse parola di Dio, il suo volto come una pagina del libro sacro.
Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. Ed è quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: ama te stesso, amati come un prodigio della mano di Dio, scintilla divina. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e accumulare, fuggire o violare, senza gioia né intelligenza né stupore.

padre Ermes Ronchi

A Cesare ciò che è di Cesare. E noi siamo del Signore

 

La trappola è ben congegnata: È lecito o no pagare il tributo a Roma? Stai con gli invasori o con la tua gente? Con qualsiasi risposta Gesù avrebbe rischiato la vita, o per la spada dei Romani, come istigatore alla rivolta, o per il pugnale degli Zeloti, come sostenitore degli occupanti. Erodiani e farisei, due facce note del pantheon del potere, pur essendo nemici giurati tra loro, in questo caso si accordano contro il giovane rabbi di cui temono le parole e vogliono stroncare la carriera.
Ma Gesù non cade nella trappola, anzi: ipocriti, li chiama, cioè commedianti, la vostra esistenza è una recita. Mostratemi la moneta del tributo. Siamo a Gerusalemme, nell'area sacra del tempio, dove era proibito introdurre qualsiasi figura umana, anche se coniata sulle monete. Per questo c'erano i cambiavalute all'ingresso. I farisei, i puri, con la loro religiosità ostentata, portano dentro il luogo più sacro della nazione, la moneta pagana proibita con l'effigie dell'imperatore Tiberio. I commedianti sono smascherati: sono loro, gli osservanti, a violare la norma, mostrando di seguire la legge del denaro e non quella di Mosè. Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare. È lecito pagare? avevano chiesto. Gesù risponde impiegando un altro verbo, restituire, come per uno scambio: prima avete avuto, ora restituite. Lungo è l'elenco: ho ricevuto istruzione, sanità, giustizia, coesione sociale, servizi per i più fragili, cultura, assistenza... ora restituisco qualcosa.
Rendete a Cesare, vale a dire pagate tutti le imposte per servizi che raggiungono tutti. Come non applicare questa chiarezza immediata di Gesù ai nostri giorni di faticose riflessioni su manovre finanziarie, tasse, fisco; ai farisei di oggi, per i quali evadere le imposte, cioè non restituire, trattenere, è normale?
E aggiunge: Restituite a Dio quello che è di Dio. Di Dio è la terra e quanto contiene; l'uomo è cosa di Dio. Di Dio è la mia vita, che «lui ha fatto risplendere per mezzo del Vangelo» (2Tm 1,10). Neppure essa mi appartiene.
Ogni uomo e ogni donna vengono al mondo come vite che risplendono, come talenti d'oro su cui è coniata l'immagine di Dio e l'iscrizione: tu appartieni alle sue cure, sei iscritto al suo Amore. Restituisci a Dio ciò che è di Dio, cioè te stesso.
A Cesare le cose, a Dio le persone. A Cesare oro e argento, a Dio l'uomo.
A me e ad ogni persona, Gesù ripete: tu non appartieni a nessun potere, resta libero da tutti, ribelle ad ogni tentazione di lasciarti asservire.
Ad ogni potere umano il Vangelo dice: non appropriarti dell'uomo. Non violarlo, non umiliarlo: è cosa di Dio, ogni creatura è prodigio grande che ha il Creatore nel sangue e nel respiro.

 
padre Ermes Ronchi

Al banchetto del Re non persone perfette ma in cammino

C'è, nella città, una grande festa: si sposa il figlio del re, l'erede al trono, eppure nessuno sembra interessato; nessuna almeno delle persone importanti, quelli che possiedono terreni, buoi e botteghe. È la fotografia del fallimento del re. Che però non si arrende al primo rifiuto, e rilancia l'invito. Come mai di nuovo nessuno risponde e la festa promessa finisce nel sangue e nel fuoco? È la storia di Gesù, di Israele, di Gerusalemme...
Allora disse ai suoi servi: andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Per la terza volta i servi ricevono il compito di uscire, chiesa in uscita, a cercare per i crocicchi, dietro le siepi, nelle periferie, uomini e donne di nessuna importanza, basta che abbiano fame di vita e di festa. Se i cuori e le case si chiudono, il Signore, che non è mai a corto di sorprese, apre incontri altrove. Neanche Dio può stare solo. L'ordine del re è illogico e favoloso: tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Tutti, senza badare a meriti, razza, moralità. L'invito potrebbe sembrare casuale, invece esprime la precisa volontà di raggiungere tutti, nessuno escluso.
Dai molti invitati passa a tutti invitati, dalle persone importanti passa agli ultimi della fila: fateli entrare tutti, cattivi e buoni. Addirittura prima i cattivi e poi i buoni, senza mezze misure, senza bilancino, senza quote da distribuire...
Il Vangelo mostra che Lui non cerca uomini perfetti, non esige creature immacolate, ma vuole uomini e donne incamminati, anche col fiatone, anche claudicanti, ma in cammino. È così il paradiso. Pieno di santi? No, pieno di peccatori perdonati, di gente come noi. Di vite zoppicanti. Il re invita tutti, ma non a fare qualcosa per lui, ma a lasciargli fare delle cose per loro: che lo lascino essere Dio!
Il re entrò nella sala... Noi pensiamo Dio lontano, separato, sul suo trono di gloria, e invece è dentro la sala della vita, in questa sala del mondo, è qui con noi, uno cui sta a cuore la gioia degli uomini, e se ne prende cura; è qui, nei giorni delle danze e in quelli delle lacrime, insediato al centro dell'esistenza, nel cuore della vita, non ai margini di essa.
E si accorge che un invitato non indossa l'abito delle nozze. Tutti si sono cambiati d'abito, lui no; tutti anche i più poveri, non so come, l'hanno trovato, lui no; lui è come se fosse rimasto ancora fuori dalla sala. È entrato, ma non credeva a una festa. Non ha capito che si fa festa in cielo per ogni peccatore pentito, per ogni figlio che torna, per ogni mendicante d'amore. Non crede che Dio mostri il suo volto di padre nei racconti di un Rabbi che amava banchetti aperti per tutti.


padre Ermes Ronchi

Gesù ci chiede: siamo cristiani di facciata o di sostanza?

Un uomo aveva due figli!. Ed è come dire: Un uomo aveva due cuori. Ognuno di noi ha in sé un cuore diviso; un cuore che dice “sì” e uno che dice “no”; un cuore che dice e poi si contraddice. L'obiettivo santo dell'uomo è avere un cuore unificato. Il primo figlio rispose: non ne ho voglia, ma poi si pentì e vi andò. Il primo figlio è un ribelle; il secondo, che dice “sì” e non fa, è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. Il primo figlio, vivo, reattivo, impulsivo che prima di aderire a suo padre prova il bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui, di contraddirlo, non ha nulla di servile. L'altro figlio che dice “sì, signore” e non fa è un adolescente immaturo che si accontenta di apparire. Uomo di maschere e di paure. I due fratelli della parabola, pur così diversi, hanno tuttavia qualcosa in comune, la stessa idea del padre: un padre-padrone al quale sottomettersi oppure ribellarsi, ma in fondo da eludere. Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del primo figlio: si pentì. Pentirsi significa cambiare modo di vedere il padre e la vigna: la vigna è molto più che fatica e sudore, è il luogo dove è racchiusa una profezia di gioia (il vino) per tutta la casa. E il padre è custode di gioia condivisa.

Chi dei due figli ha fatto la volontà del Padre? Parola centrale. Volontà di Dio è forse mettere alla prova i due figli, misurare la loro obbedienza? No, la sua volontà è la fioritura piena della vigna che è la vita nel mondo; è una casa abitata da figli liberi e non da servi sottomessi. Gesù prosegue con una delle sue parole più dure e più consolanti: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. Perché hanno detto “no”, e la loro vita era senza frutti, ma poi hanno cambiato vita. Dura la frase! Perché si rivolge a noi, che a parole diciamo “sì”, ma poi siamo sterili di frutti buoni. Cristiani di facciata o di sostanza? Solo credenti, o finalmente anche credibili?

Ma è consolante questa parola, perché in Dio non c'è ombra di condanna, solo la promessa di una vita totalmente rinnovata per tutti. Dio non rinchiude nessuno nei suoi ergastoli passati, nessuno; ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia anche in me, in tutti noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Dio si fida del mio cuore. E io «accosterò le mie labbra alla sorgente del cuore» (San Bernardo) unificato, «perché da esso sgorga la vita» (Proverbi 4,23), il senso, la conversione: Dio non è un dovere, è stupore e libertà, un vino di festa per il futuro del mondo.

padre Ermes Ronchi

Indirizzo e contatti

Siamo a Sesto Fiorentino (Fi)

  • Via Antonio Gramsci 691-693
  • +39 055-442753
  • info[at]santacroceaquinto.it

Orari S. Messe

Messa feriale da lunedì a sabato: ore 8:30 ~ 17.30
Messa festiva del sabato: ore 18:00
Messe festive domenicali: ore 8:00 ~ 10:00 ~ 11.30 ~ 18.00

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