Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne

Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. Il cristianesimo è nato da questi giorni "santi", non dalla meditazione sulla vita e le opere di Gesù, ma dalla riflessione sulla sua morte.
Il Calvario e la croce sono il punto in cui si concentra e da cui emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani.
Per questo improvvisamente, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell'anima, cambia ritmo: la liturgia rallenta, prende un altro passo, moltiplica i momenti nei quali accompagnare con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù: dall'entrata in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena al mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce. Sono i giorni supremi della storia, i giorni del nostro destino. E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio, e lo chiamano vicino nei giorni della loro sofferenza, noi, i cristiani, andiamo da Dio, stiamo vicino a lui, nei giorni della sua sofferenza. «L'essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini). Stando accanto a lui, come in quel venerdì, sul Calvario, così oggi nelle infinite croci dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne dolente e santa. Come con Gesù, Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non ci protegge dalla morte, ma nella morte. Non libera dalla croce ma nella croce (Bonhoeffer).
La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo.
Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo.
Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell'omicidio. Non è stato lui che ha permesso o chiesto che fosse sacrificato Gesù, l'innocente, al posto di tutti noi colpevoli, per soddisfare il suo bisogno di giustizia. «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», quante volte l'ha gridato nei profeti! La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, l'intera sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, è la stessa logica che prosegue fino all'estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni figlio dell'uomo. E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, per tirarci fuori, trascinandoci con sé, in alto, con la forza della sua risurrezione.

padre Ermes Ronchi

Quando Gesù apre le porte delle nostre prigioni

Se ne vanno tutti, cominciando dagli anziani. È calato il silenzio, Gesù rimane solo con la donna e si alza, con un gesto bellissimo! Si alza davanti alla adultera, come ci si alza davanti ad una persona attesa e importante. Si alza in piedi, con tutto il rispetto dovuto a una presenza regale, si alza per esserle più vicino, nella prossimità, occhi negli occhi, e le parla.
Nessuno le aveva parlato prima. Lei e la sua storia, lei e il suo intimo tormento non interessavano. E la chiama Donna con il nome che ha usato per sua Madre.
Non è più l'adultera, la trascinata, è la donna.
Gesù adesso si immerge nell'unicità di quella donna, nell'intimo di quell'anima. Ed è soltanto così che anche noi possiamo trovare l'equilibrio tra la regola e la compassione. Immergendoci nella concretezza di un volto e di una storia, non in un'idea o una norma. Imparando dall'intimità e dalla fragilità, maestre di umanità. «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?»
Dove sono quelli che sanno solo lapidare e seppellire di pietre? Non qui devono stare.
Il Signore non sopporta gli ipocriti, quelli delle maschere, del cuore doppio, i commedianti della fede; e poi accusatori e giudici. Vuole che scompaiano. Come sono scomparsi quel giorno, così devono scomparire dal cerchio dei suoi amici, dai cortili dei templi, dalle navate delle chiese, dalle stanze del potere.
Nessuno ti ha condannata? Neanch'io ti condanno. Gesù adesso scrive non più per terra ma nel cuore di quella donna, e la parola che scrive è: futuro.
E la donna di colpo appartiene al suo futuro, alle persone che amerà, ai sogni che farà. Il perdono di Dio è un atto creativo: apre sentieri, ti rimette sulla strada giusta, fa compiere un passo in avanti, spalanca futuro. Non è un colpo di spugna sugli errori del passato, ma è di più, un colpo d'ala verso il domani, un colpo di vento nelle vele della mia barca.
Va e d'ora in poi non peccare più: risuonano le sei parole che bastano a cambiare una vita! Gli altri uccidono, lui indica passi; gli altri coprono di pietre, lui insegna sentieri.
E d'ora in avanti... ciò che sta dietro non importa più. Il bene possibile domani conta più del male di ieri. Dio perdona come un creatore.
Tante persone vivono in un ergastolo interiore, schiacciate da sensi di colpa per errori passati. Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui trasciniamo noi stessi e gli altri. Lui sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati possono seminare libertà e pace.
Dice a quella donna: Esci dal tuo passato. Tu non sei l'adultera di questa notte, ma la donna capace ancora di amare, di amare bene. E di conoscere più a fondo di tutti il cuore di Dio.

padre Ermes Ronchi

Dio perdona con una carezza, un abbraccio, una festa

Un padre aveva due figli. Ogni volta questo inizio, semplicissimo e favoloso, mi affascina, come se qualcosa di importante stesse di nuovo per accadere. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa la struttura stessa del nostro vivere con Dio, con noi stessi, con gli altri. L'obiettivo di questa parabola è precisamente quello di farci cambiare l'opinione che nutriamo su Dio.
Io voglio bene al prodigo. Il prodigo è storia. Storia di umanità ferita eppure incamminata. Felix culpa che gli ha permesso di conoscere più a fondo il cuore del Padre. Se ne va, un giorno, il più giovane, in cerca di se stesso, in cerca di felicità. La casa non gli basta, il padre e il fratello non gli bastano. E forse la sua ribellione non è che un preludio ad una dichiarazione d'amore. Quante volte i ribelli in realtà sono solo dei richiedenti amore. Cerca la felicità nelle cose, ma si accorge che le cose hanno un fondo e che il fondo delle cose è vuoto. Il prodigo si ritrova un giorno a pascolare i porci: il libero ribelle è diventato un servo, a disputarsi il cibo con le bestie.
Allora ritorna in sé, dice il racconto, chiamato da un sogno di pane (la casa di mio padre profuma di pane...) Ci sono persone nel mondo con così tanta fame che per loro Dio non può avere che la forma di un Pane (Gandhi).
Non torna per amore, torna per fame. Non torna perché pentito, ma perché ha paura e sente la morte addosso. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in viaggio. È sufficiente che compiamo un primo passo. L'uomo cammina, Dio corre. L'uomo si avvia, Dio è già arrivato. Infatti: il padre, vistolo di lontano, gli corse incontro...
E lo perdona prima ancora che apra bocca, di un amore che previene il pentimento. Il tempo della misericordia è l'anticipo.
Si era preparato delle scuse, il ragazzo, continuando a non capire niente di suo padre. Niente di Dio, che perdona non con un decreto, ma con una carezza (papa Francesco). Con un abbraccio, con una festa. Senza guardare più al passato, senza rivangare ciò che è stato, ma creando e proclamando un futuro nuovo. Dove il mondo dice "perduto", Dio dice "ritrovato"; dove il mondo dice "finito", Dio dice "rinato". E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti. Il Padre infine esce a pregare il figlio maggiore, alle prese con l'infelicità che deriva da un cuore non sincero, un cuore di servo e non di figlio, e tenta di spiegare e farsi capire, e alla fine non si sa se ci sia riuscito. Un padre che non è giusto, è di più: è amore, esclusivamente amore.
Allora Dio è così? Così eccessivo, così tanto, così esagerato? Sì, il Dio in cui crediamo è così. Immensa rivelazione per cui Gesù darà la sua vita.

padre Ermes Ronchi

Quell'invito a cambiare rotta su ogni fronte

Che colpa avevano i diciotto morti sotto il crollo della torre di Siloe? E quelli colpiti da un terremoto, da un atto di terrorismo, da una malattia sono forse castigati da Dio? La risposta di Gesù è netta: non è Dio che fa cadere torri o aerei, non è la mano di Dio che architetta sventure. Ricordiamo l'episodio del "cieco nato": chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse così? Gesù allontana subito, immediatamente, questa visione: né lui, né i suoi genitori. Non è il peccato il perno della storia, l'asse attorno al quale ruota il mondo. Dio non spreca la sua eternità e potenza in castighi, lotta con noi contro ogni male, lui è mano viva che fa ripartire la vita. Infatti aggiunge: Se non vi convertirete, perirete tutti. Conversione è l'inversione di rotta della nave che, se continua così, va diritta sugli scogli. Non serve fare la conta dei buoni e dei cattivi, bisogna riconoscere che è tutto un mondo che deve cambiare direzione: nelle relazioni, nella politica, nella economia, nella ecologia. Mai come oggi sentiamo attuale questo appello accorato di Gesù. Mai come oggi capiamo che tutto nel Creato è in stretta connessione: se ci sono milioni di poveri senza dignità né istruzione, sarà tutto il mondo ad essere deprivato del loro contributo; se la natura è avvelenata, muore anche l'umanità; l'estinzione di una specie equivale a una mutilazione di tutti. Convertitevi alla parola compimento della legge: “tu amerai”. Amatevi, altrimenti vi distruggerete. Il Vangelo è tutto qui. Alla gravità di queste parole fa da contrappunto la fiducia della piccola parabola del fico sterile: il padrone si è stancato, pretende frutti, farà tagliare l'albero. Invece il contadino sapiente, con il cuore nel futuro, dice: "ancora un anno di cure e gusteremo il frutto". Ancora un anno, ancora sole, pioggia e cure perché quest'albero, che sono io, è buono e darà frutto. Dio contadino, chino su di me, ortolano fiducioso di questo piccolo orto in cui ha seminato così tanto per tirar su così poco. Eppure continua a inviare germi vitali, sole, pioggia, fiducia. Lui crede in me prima ancora che io dica sì. Il suo scopo è lavorare per far fiorire la vita: il frutto dell'estate prossima vale più di tre anni di sterilità. E allora avvia processi, inizia percorsi, ci consegna un anticipo di fiducia. E non puoi sapere di quanta esposizione al sole di Dio avrà bisogno una creatura per giungere all'armonia e alla fioritura della sua vita. Perciò abbi fiducia, sii indulgente verso tutti, e anche verso te stesso. La primavera non si lascia sgomentare, né la Pasqua si arrende. La fiducia è una vela che sospinge la storia. E, vedrai, ciò che tarda verrà.

padre Ermes Ronchi

Pregare cambia il cuore, diventi ciò che ami

Dal deserto al Tabor; dalla domenica dell'ombra che ci minaccia, alla domenica della luce che ci abita. Ciò che è avvenuto in Cristo avverrà in ciascuno, lui è il volto ultimo e alto dell'uomo, icona di Dio dipinta, come le antiche icone greche, su di un fondo d'oro, che traspare dalle ferite e dai graffi della vita, come da misteriose feritoie. Il racconto della trasfigurazione è collocato in un contesto duro e difficile: Gesù ha appena consegnato ai suoi il primo annuncio della passione: il figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso. E subito, dentro quel momento di oscurità, il vangelo ci regala il volto di Cristo che gronda luce, su cui tenere fissi gli occhi per affrontare il momento in cui la vita gronda sangue, per tutti, come per Gesù nell'orto degli ulivi.
Gesù salì su di un alto monte a pregare. I monti sono come indici puntati verso il cielo, verso il mistero di Dio e la sua salvezza, raccontano che la vita è un ascendere silenzioso e tenace verso più luce, più orizzonti, più cielo.
Gesù sale per pregare. La preghiera è mettersi in viaggio: destinazione Tabor, un battesimo di luce e di silenzio; destinazione futuro, un futuro più buono; approdo è il cuore di luce di Dio.
Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto. Pregare trasforma. Pregare cambia il cuore, tu diventi ciò che contempli, ciò che ascolti, ciò che ami, Colui che preghi: è nel contatto con il Padre che la nostra realtà si illumina, e appare in tutta la sua lucentezza e profondità.
In qualche momento privilegiato, toccati dalla gioia, dalla dolcezza di Dio, forse ci è capitato di dire, come Pietro: Signore, che bello! Vorrei che questo momento durasse per sempre. Facciamo qui tre tende? E una voce interiore diceva: è bello stare su questa terra, gravida di luce. È bello essere uomini, dentro questa umanità che pian piano si libera, cresce, ascende. È bello vivere.
Le parole di Pietro trasmettono una esperienza precisa: Dio è bello. Invece La nostra predicazione ha ridotto Dio in miseria, relegato a rovistare nel passato e nel peccato dell'uomo. Ora sta a noi restituirgli il suo volto solare, testimoniare un Dio bello, desiderabile, interessante. Il Dio del futuro, delle fioriture, un Dio da gustare e da godere. Come san Francesco quando prega: tu sei bellezza, tu sei bellezza. Come sant'Agostino: tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova. Sarà come bere alle sorgenti della luce, agli orli dell'infinito.
Davvero il cristianesimo è proprio la religione della penitenza, della mortificazione, del sacrificio, come molti pensano? No, il vangelo è la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore.

padre Ermes Ronchi

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