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Pentecoste, la sinfonia di linguaggi dello Spirito


Lo Spirito Santo è Dio in libertà. Rifiuto della monotonia. Scelta della sinfonia. Ultima parola, che si offre sempre come nuova, come altra: alla nave come costa, alla terra come nave; al navigante come nostalgia di casa, all'uomo di casa come nostalgia del mare. Dio in libertà. Che fa cose che non t'aspetti. Che dà a Maria un figlio "fuorilegge'", a Elisabetta un figlio profeta. E a noi dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno per dare, a nostra volta, vita, o meglio ancora: per dare alla vita. La Parola di Dio oggi prova una sinfonia di linguaggi per tentare di dire qualcosa della vastità dello Spirito: non sono che semplici fessure, feritoie aperte sul mistero.
1. La prima lettura (Atti 2,1-11) racconta di Apostoli come "ubriachi", inebriati da qualcosa che li ha storditi di gioia, come un capogiro, una divina seduzione, violenta e felice. E la prima Chiesa, arroccata sulla difensiva, viene lanciata fuori e in avanti. La nostra Chiesa tentata, oggi come allora, di arroccarsi e chiudersi, perché in crisi di numeri, perché aumentano coloro che si dichiarano indifferenti o infastiditi, questa Chiesa, amata e infedele, può ancora attingere a quello slancio originario.
2. Il salmo tra le letture (Sal 104,30) apre la seconda fessura: "Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra". Una delle affermazioni più belle e rivoluzionarie della nostra fede è offerta dalla Prece eucaristica III, quando il presidente proclama: "Tu, che per mezzo di Cristo e per opera dello Spirito fai vivere e santifichi l'universo". Non solo l'uomo, ma tutto ciò che esiste; non solo doni vita, ma semini santità nell'universo, santità della luce, l'umile santità del bosco, del bambino che nasce, del cuore che ama, dell'anziano che pensa. Una divina liturgia santifica l'universo.
3. La terza finestra sulla Pentecoste la apre Paolo nella seconda lettura (1Cor 12,5). Lo Spirito dà a ciascuno una manifestazione particolare per il bene comune. Sposa vite diverse, consacra vocazioni differenti, benedice la genialità e l'unicità di ogni vita. Lo Spirito non vuole banali ripetitori, ma discepoli geniali, edificatori di una Chiesa che trova unità attorno alla croce, varietà e creatività attorno allo Spirito.
4. Infine il Vangelo racconta la Pentecoste come un incontro leggero nella sera di Pasqua: "soffiò su di loro e disse: ricevete lo Spirito santo" (Gv 20,22). In quella stanza chiusa e dall'aria stagnante, entra il grande, ampio e profondo ossigeno del cielo. Entra il respiro di Dio che non sopporta schemi e chiusure, che viene per farci vivi, sottile e profondo come il respiro, umile e testardo come il battito del cuore.

Padre Ermes Ronchi

Gesù se ne va ma resta con noi per sempre


Ascensione: finito il tempo del pane e del pesce attorno al fuoco sulla riva del lago. Finito il tempo dei nomi pronunciati uno per uno, che sulle sue labbra parevano bruciare. L'ascensione è la festa di Lui diversamente presente: Gesù non è andato lontano, ma avanti e nel profondo; non oltre le nubi ma oltre le forme. Se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro. L'ultimo suo appuntamento è nella Galilea degli inizi, hanno camminato insieme per tre anni; e se non hanno capito molto, lo hanno però molto amato. E ci sono tutti all'appuntamento sull'ultima montagna. «Andate!». Si è appena fatto trovare e subito li invita a partire, li spinge a pensare in grande, a guardare lontano: apre il mondo, cancella frontiere, li manda a immergersi nell'umano innumerevole.

«Battezzate»: immergete ogni vita nell'oceano di Dio, che sia sommersa e sollevata dalla sua onda mite e possente... Cosa devono fare i discepoli? Creare un laboratorio di immersione in Dio, per il mondo. Dare agli uomini l'esperienza e la coscienza che sono immersi in un oceano d'amore, e non se ne rendono conto.

«Andate!». Per arruolare devoti? Per far crescere i numeri del gruppo? No, per una pandemia da spargere sulla terra, di fuoco e libertà. Andate, profumate di cielo le vite che incontrate, “insegnate a vivere bene” (S. Bernardo), mostrate il mestiere del vivere buono, così come l'avete visto da me. Insegnate ad essere felici, direbbe Mosè. Insegnate a donare, cioè ad essere vivi, direbbe Paolo. «Fate discepoli tutti i popoli»: Gesù non dà l'ordine di indottrinare il mondo. Il termine “discepolo” nella sua etimologia significa colui che impara, “l'imparante”.

« Fate discepoli» vuol dire allargate le menti delle persone, insegnate loro ad essere gli imparanti,, coloro che non smettono mai di apprendere e di accogliere. «Alcuni però dubitavano»: Gesù lascia sulla terra quasi niente: un gruppetto di undici uomini impauriti, confusi, che dubitano ancora, e un nucleo di donne coraggiose e fedeli. Se ne va, compiendo un atto di enorme fiducia: affida la sua verità a gente che dubita, mostra la strada per i confini del mondo a gente che zoppica.

Grande Gesù, che non si pone come uno che ti risolve i problemi, ma come colui che offre orizzonti, che fa più grande la vita. Ma non li lascia soli con i loro limiti: «io sono con voi tutti i giorni» fino alla fine del mondo. Tu lo puoi anche mollare, ma lui non ti molla mai. Ha intriso di Dio il mondo, e ne ha impregnato anche la tua vita; il mondo e tu ne siete battezzati. Se solo io fossi capace di sentire e godere questo, camminerei sulla terra con passo di danza come dentro un battesimo infinito.

Padre Ermes Ronchi

Nel Dna umano un gene divino

Sette versetti, nei quali Gesù ripropone, per sette volte, il centro del suo messaggio: in principio a tutto e a compimento di tutto, è posta la stessa azione: amare, pietra d'angolo e chiave di volta della vita viva. «La legge tutta è preceduta da un “sei amato” e seguita da un “tu amerai”. Sei amato, fondazione della legge; amerai, il suo compimento. Chiunque astrae la legge da questo principio amerà il contrario della vita» (P. Beauchamp). Amerà la morte.«Se mi amate».

Gesù non detta regole, si fa mendicante d'amore rispettoso e paziente. Entra silenzioso e a piedi nudi nel tessuto più intimo della vita. Non rivendica amore per sé, lo spera. Lo fa con estrema delicatezza, mettendo a capo di tutto un “se”. Il punto di partenza più umile, fragile, fiducioso, paziente: «se mi amate». Nessuna minaccia, nessun ricatto. Puoi accogliere o no, in totale libertà.

Ma amarlo è pericoloso: amore è parola che brucia le labbra se pronunciata male, se suona incoerente. «Se mi amate, osserverete...» un bellissimo automatismo, radice della coerenza: solo se ami, osservi. Che cosa? «I miei comandamenti». Non le tavole di pietra del Sinai, ma il suo, il nuovo, l'unico, la cronaca del suo amore diventata legge: lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute e vedove povere, che fa dei bambini i principi del regno, che ama per primo e in perdita.

Il secondo termine decisivo del Vangelo di oggi è una parolina, brevissima, ma esplosiva come una mina disseminata in tutto il brano, la preposizione “in”: «voi in me e io in voi». Dio dentro di me e io dentro Dio, innestato, immerso. E non è fatica di conquista, vetta che non raggiungi. Ci siamo già dentro, dobbiamo solo prenderne coscienza! E non scappare, non fuggire dietro agende e telefonini, ma ascoltare la sua richiesta sommessa: resta con me, rimani in me! Gusto l'immagine di me immerso “in” Dio, tralcio della vite madre, stessa linfa, stessa vita; raggio del sole, stessa luce, stesso fuoco; goccia d'acqua dello stesso oceano. C'è un cromosoma divino nel nostro Dna. Per questo la nostra vita è piena di futuro. Infatti il brano è tutto sotteso da un filo d'oro di verbi al futuro: “pregherò, vi darò, non vi lascerò, verrò, mi vedrete, saprete, vivrete, amerò, mi manifesterò”.

Che senso di vitalità e di strade spalancate, di gemme che si schiudono e di nascite! Abbiamo un Dio che presiede a tutte le nascite, che ci precede su tutte le strade, che irrompe dal futuro e non dal passato.«Non vi lascerò orfani, io vivo e voi vivrete». Far vivere è la vocazione di Dio, il suo mestiere. La prima legge di Dio è che l'uomo viva e questa è anche tutta la sua gioia.

Padre Ermes Ronchi

Camminiamo sulle orme di Gesù verso il Padre

Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via? Gesù non risponde: «io “conosco bene” la strada e adesso ve la descrivo e poi vi passo le coordinate»; dice invece: «Guardami Tommaso, sono io la via».

La strada verso Dio, verso il cuore caldo della vita, è la vita di Cristo. Guardi Gesù, come vive, come si commuove e tocca, come va incontro, come muore, e capisci Dio e la vita. E se voglio entrare in quel mistero metterò i miei passi sui suoi passi, preferirò coloro che lui preferiva, rinnoverò con le mie le sue scelte, mi muoverò solo dietro alla sua stella polare. J, Maritain mette in bocca a Gesù questo invito: «Non cercatemi in un luogo, ma là dove amo e sono amato».

“Io sono la verità”. Come io vivo è il vivere vero, come mi comporto con i piccoli e con le donne, con i poveri cristi e con i Pilato di turno, con gli uccelli e con i fiori del campo, con il Padre e l'ultima pecora... La verità è fatta di carne, ieri baciata, tra poco straziata.

Verità disarmante è il suo muoversi libero, regale e amorevole tra le creature. Mai arrogante e sempre senza compromessi. Diritto e sicuro.

La verità è coraggiosa e amabile. Quando invece è arrogante e senza tenerezza, è una malattia che ci fa tutti malati di violenza. La verità dura, dispotica, gridata da parole di pietra «è così e basta», non è la voce di Dio. Dio è verità amabile, di occhi e mani accesi!

Io sono la vita. Parole che nessuna spiegazione può esaurire. Che hai a che fare con me, Gesù di Nazareth? La risposta è una pretesa eccessiva e sconcertante: io faccio vivere.

Io sono la vita. Allora più Vangelo entra in me, più vita si aggiunge alla vita. Quella vita che si oppone alla pulsione di morte, all'auto distruttività che coltiviamo in noi, alle paure, alla sterilità di una vita inutile.

Vita è tutto ciò che possiamo mettere sotto questo nome: futuro, amore, casa, festa, riposo, desiderio, pasqua, felicità. Per questo fede e vita, sacro e realtà, hanno l'identica sorgente, e coincidono.

I gesti e le parole di Gesù sono energia che sa scheggiare le corazze dure, fa fiorire la corteccia malata della storia, fa sognare terra nuova e cieli nuovi, se e quando la sua tenerezza attraversa le nostre mani.

Il mistero di Dio non è lontano da te, è nella tua vita: vive nel tuo nascere, amare, dubitare, credere, perdere, illuderti, osare, generare... In ogni tuo amore è Lui che ama. Il mistero di Dio non è lontano, ma è la strada sottesa ai nostri passi. Se Dio è la vita, allora «c'è della santità nella vita, viviamo la santità del vivere» (Abraham Hescel). Per questo fede e vita, spiritualità e realtà non si oppongono, ma si incontrano e si baciano, come nei Salmi.

Padre Ermes Ronchi

Gesù chiama per nome donandoci la vita

Per me, una delle frasi più solari del Vangelo, dove appoggio la mia fede, che mi rigenera ogni volta che l'ascolto: sono venuto perché abbiano la vita; è venuto per la mia vita piena, abbondante, gioiosa. Non per quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma quella esuberante, eccessiva, che rompe gli argini e tracima, scialo di libertà e coraggio. La parola “vita” lega insieme tutta la Scrittura; è supplica nei Salmi: fa' che io viva! Fammi camminare sui campi della vita!

Giona si adira con Dio perché, invece di distruggere Ninive, è pastore per i centoventimila della città che non distinguono la destra dalla sinistra. Il primo di tutti i comandamenti, quello che introduce l'intera sezione della legge è: «Hai davanti a te la vita e la morte. Scegli!». E intende: scegli la vita! Vita è tutto ciò che possiamo pensare per riempire questo nome. È proprio la piccola parola “vita” a rendere inconciliabili il pastore e il ladro. Il pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome. L'eccedenza di Dio. Quale pastore ha dato un nome a tutte le pecore? Ad alcune sì, magari a molte, ma le centinaia di pecore del suo gregge, chi può distinguerle e ricordarle? Chi perde tempo a recitare ogni mattina tutta la litania dei loro nomi, anziché un solo fischio o un richiamo unico per tutte?

Ma è proprio scritto così: le chiama ciascuna per nome. Per noi il gregge è anonimato, fine dell'identità, omologazione. Per Gesù, no: mi dà tempo, dice il mio nome, gli sto a cuore, non mi confonde con nessun altro. E le conduce fuori. Anzi, «le spinge fuori». Non in un altro recinto magari più grande, ma fuori per spazi aperti. Io sono la porta. Non eleva muri o steccati a dividere; Cristo è passaggio, apertura, pasqua, breccia di luce, vita che entra ed esce. Pastore pieno di futuro, porta dell'amore leale e sicuro (chi entra attraverso di me si troverà in salvo), più forte di ogni prigione (potrà entrare e uscire), dove placare la fame e la sete della storia (troverà pascolo).

E cammina davanti alle pecore. Pastore apripista, che non sta alle spalle a richiamare e ad agitare il bastone, non è un cane da pastore che deve tenere in riga le pecore. Non gli interessa. Le pecore stanno in riga perché intravedono davanti uno di cui hanno fiducia, vedono la strada che fa, sanno che è sicura, sanno che in fondo a quella fila c'è profumo di vita. E Gesù si definisce come porta: non un muro, o un vecchio recinto, dove giri e rigiri e torni sui giri di prima, non un guinzaglio, né corto né lungo. Cristo è porta aperta, buco nella rete, breccia nel muro, passaggio, transito, spazio per il cuore, per cui va e viene il respiro di terra e cieli nuovi.

Padre Ermes Ronchi

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