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Far crescere la fraternità è il tesoro della storia

 
Tutto comincia quando ci sentiamo debitori, dice Paolo; quando ci sentiamo custodi dell'altro, dice il Profeta; debitori senza pretese e custodi attenti: sono i due nomi belli di ogni persona in relazione. E il terzo è offerto dal Vangelo: restauratori di legami, coloro che incessantemente rammendano il tessuto continuamente lacerato delle relazioni. Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, vai e ammoniscilo. Tu fa’ il primo passo, ricomincia il dialogo, sospinto dal vento di comunione che è Dio, “cemento del cosmo, forza di coesione della materia, collante delle vite” (Turoldo). Quando un io e un tu ricompongono un noi, quando riparano l'alleanza, il legame che si ri-crea è il mattone elementare della casa comune, il sentiero del Regno, la porta di Dio.

Ma che cosa mi autorizza a intervenire nella vita di una persona? Nient'altro che la parola fratello, percepire l'altro come fratello o sorella... non l'impalcarsi a difesa della verità, non il credersi i raddrizzatori dei torti del mondo, ciò che ci autorizza è la custodia direbbe Ezechiele, è l'I care di don Milani: mi stai a cuore e mi prendo cura. Solo chi ci ama sa prendersi cura e ammonirci nel modo giusto, gli altri sanno solo ferire o adulare. Dopo aver così interrogato il tuo cuore, tu va' e parla, tu fa’ il primo passo, prova tu a riallacciare la relazione. Lontano dalle apparenze, nel cuore della vita, tutto inizia dal mattoncino elementare della realtà, il rapporto io-tu. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello. Verbo stupendo: guadagnare un fratello. C'è gente che accumula denaro, gente che guadagna prestigio o potere, e poi c'è gente che guadagna fratelli. Il crescere della fraternità è il tesoro della storia, dobbiamo investire tutto nel capitale relazionale, l'unico investimento che produce vera crescita. E alla fine del percorso di ricomposizione tracciato da Gesù, il Vangelo riporta una frase da capire bene: se non ascolta neppure i testimoni, neppure la comunità, quel fratello sia per te come il pagano e il pubblicano. Lo considererai un escluso, uno scarto, un rifiuto? No. Con lui ti comporterai come Gesù, che siede a mensa con Matteo e i pubblicani di Cafarnao, che discute di figli, di briciole e cagnolini con una donna pagana. Questo percorso mi fa sentir bene dentro la prima espressione del Vangelo di oggi: quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Parola che scavalca la liturgia: “Non nell'io, non nel tu, lo Spirito risiede nell'io-tu” (M. Buber). Il Signore respira meglio quando è catturato dentro quei nostri abbracci che, qualche volta almeno, ci hanno fatto meravigliosamente perdere il fiato.

Padre Ermes Ronchi

Scuola biblica 2023-24

La fisica dell'amore

Con questo brano Matteo ci conduce allo spartiacque del suo Vangelo. Terminano i giorni dell’insegnamento, dell’itineranza libera e felice sulle strade di Palestina; inizia il grande racconto della passione, morte e risurrezione. Da allora l’intera storia umana si specchia nel volto di un Dio crocifisso. È lo scandalo del cristianesimo. Accettare Gesù come Messia è ammissibile, ma che il Messia debba finire di morte orrenda, non è accettabile. Con l’angoscia di Pietro, anche noi ripetiamo a Gesù: Ma tu vuoi davvero salvare questa storia naufraga lasciandoti uccidere? Non servirà!

La croce, questo segno semplicissimo, due sole linee come un uccello in volo, come un uomo a braccia aperte o un aratro che incide madre terra; questa immagine che abita gli occhi di tutti, che pende al collo di molti, che segna vette di monti, campanili, ambulanze, ha in realtà il suo profondo senso altrove.

La croce è follia. Un «suicidio per amore», sosteneva Alain Resnais. Gesù la vede profilarsi all’orizzonte a causa della sua indomita passione per Dio e per l’uomo, passioni che non può tradire, sarebbe per lui più mortale della morte stessa.

E per noi, cos’è la croce? Per capirlo basta sostituire una parola. Se qualcuno vuol seguirmi, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace e mi segua.

La croce del discepolo non sono le fatiche, le malattie, il dolore quotidiano, tutte cose inevitabili, ma solo da sopportare. La croce è da scegliere come riassunto di un destino, di un amore. Ci dice: ricordati che chi vive solo per sé muore; che il vero dramma non è perdere la vita, ma non avere nulla per cui valga la pena spenderla.

All’orizzonte si stagliano Gerusalemme e i giorni supremi. Gesù li affronta scegliendo di non assomigliare ai potenti. Unici invincibili sono i poveri, sola supremazia è la tenerezza, contro la quale i poteri del mondo sono solo polvere.

Ed ecco il centro del brano: chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l’accento sul “perdere” la vita. Ma se l’ascolti bene, senti che l’accento corre dritto sul “trovare” vita, non sul perderla.

Trovare vita è quella cosa che tutti rincorrono, ogni giorno e in ogni angolo del mondo. Perdere per trovare. È la fisica dell’amore: se dai, ti arricchisci; se trattieni, ti impoverisci.

Ci ricorda Einstein: «Il dramma del mondo non è che alcuni fanno il male, ma che la maggioranza non si oppone al male». Non c’è pace se ci conformiamo a questo mondo; non c’è pace se ci conformiamo alla paura di un amore serio. Non c’è pace se dimentico che ho un’anima e che l’anima in me è il respiro di Dio, e che questo respiro vale più di tutto il mondo. Senza di esso sarei niente, polvere e cenere; con esso sono eterno: si spegneranno le stelle prima che io mi spenga.

Padre Ermes Ronchi

Possediamo soltanto ciò che doniamo agli altri

Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore, della tua altissima pretesa? Padre madre fratello figlia... sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, a diventare il meglio di ciò che posso diventare. Ma la sua non è una competizione di emozioni, da cui sa che non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme. Eppure lo sappiamo che nessuno coincide con il cerchio della sua famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l'uomo lascerà il padre e la madre!
Il Vangelo, croce e pasqua, un'eternità di luce, non si spiegano interessandosi solo della famiglia, e neppure una storia di giustizia, un mondo in pace. Bisogna rompere il piccolo perimetro e far entrare volti e nomi nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro; staccarsi, perdere, spezzare l'eterna ripetizione di ciò che è già stato. Chi avrà perduto, troverà. Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola. Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d'impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio, insieme al coraggio del futuro.
Risento l'eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà. Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l'ha perduta per la causa dell'uomo, l'ha ritrovata. Infatti il vero dramma dei viventi è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita. E a noi, spaventati dall'impegno di dare vita e di seguire una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca non perderà il premio. Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente.
I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell'aggettivo così evangelico: fresca! L'acqua, fresca dev'essere! Vale a dire procurata e conservata con cura, l'acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l'eco del cuore. La vita nell'acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c'è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi o a tremare per una creatura, ma si traduce con l'altro verbo sempre di corsa, semplice e concreto, fattivo, urgente di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.

Padre Ermes Ronchi

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