Cookie policy

Cosa sono i cookie? I cookie sono piccoli file di testo che vengono memorizzati sul tuo dispositivo quando visiti un sito web. Questi file permettono al sito di riconoscere il tuo dispositivo e ricordare alcune informazioni su di te, come le preferenze di navigazione o i dati di accesso. Tipi di cookie utilizzati Cookie tecnici: Questi cookie sono essenziali per il funzionamento del sito e permettono di utilizzare le sue funzionalità principali. Senza questi cookie, alcuni servizi potrebbero non funzionare correttamente. Cookie di analisi: Questi cookie raccolgono informazioni su come i visitatori utilizzano il sito, come le pagine visitate e gli eventuali errori riscontrati. Le informazioni raccolte sono anonime e vengono utilizzate solo per migliorare il funzionamento del sito. Cookie di profilazione: Questi cookie vengono utilizzati per creare profili degli utenti e inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze mostrate durante la navigazione. Cookie di terze parti Il nostro sito utilizza anche cookie di terze parti, come quelli di Google Analytics, per raccogliere informazioni statistiche aggregate sull’uso del sito. Questi cookie sono gestiti da terze parti e non abbiamo accesso alle informazioni raccolte. Gestione dei cookie Puoi gestire le tue preferenze sui cookie direttamente dal tuo browser. La maggior parte dei browser ti permette di accettare o rifiutare tutti i cookie, o di accettare solo alcuni tipi di cookie. Consulta la sezione “Aiuto” del tuo browser per sapere come fare.

Gesù ha «fretta» di guarire l'uomo

Gesù è in cammino. E come lungo ogni cammino, la lentezza favorisce gli incontri, l'attenzione trasforma ogni incontro in evento. Ed ecco che dieci lebbrosi, una comunità senza speranza, un nodo di dolore, all'improvviso si pone di traverso sulla strada dei dodici.

E Gesù appena li vede... notiamo: subito, senza aspettare un secondo di più, "appena li vede", prima ancora di sentire il loro lamento. Gesù ha l'ansia di guarire, il suo amore ha fretta, è amore preveniente, amore che anticipa, pastore che sfida il deserto per una pecora che non c'è più, padre che corre incontro mentre il figlio cammina...

Davanti al dolore dell'uomo, appaiono i tre verbi dell'agire di Cristo: vedere, fermarsi, toccare, anche se solo con la carezza della parola.

Davanti al dolore scatta come un'urgenza, una fretta di bene: non devono soffrire neanche un secondo di più. E mi ricorda un verso bellissimo di Ian Twardowski: affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così presto! L'amore vero ha sempre fretta. È sempre in ritardo sulla fame di abbracci o di salute. Andate... E mentre andavano, furono purificati. Sono purificati non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano. La guarigione comincia con il primo passo compiuto credendo alla parola di Gesù. La vita guarisce non perché raggiunge la meta, ma quando salpa, quando avvia processi e inizia percorsi.

Nove lebbrosi guariscono e non sappiamo più nulla di loro, probabilmente scompaiono dentro il vortice della loro inattesa felicità, sequestrati dagli abbracci ritrovati, ridiventati persone libere e normali.

Invece un samaritano, uno straniero, l'ultimo della fila, si vede guarito, si ferma, si gira, torna indietro, perché intuisce che la salute non viene dai sacerdoti, ma da Gesù; non dalla osservanza di regole e riti, ma dal contatto con la persona di quel rabbi. Non compie nessun gesto eclatante: torna, canta, lo stringe, dice un semplice grazie, ma contagia di gioia.

Ancora una volta il Vangelo propone un samaritano, uno straniero, un eretico come modello di fede: la tua fede ti ha salvato. La fede che salva non è una professione verbale, non si compone di formule ma di gesti pieni di cuore: il ritorno, il grido di gioia, l'abbraccio che stringe i piedi di Gesù.

Il centro della narrazione è la fede che salva. Tutti e dieci sono guariti. Tutti e dieci hanno creduto alla parola, si sono fidati e si sono messi in cammino. Ma uno solo è salvato. Altro è essere guariti, altro essere salvati. Nella guarigione si chiudono le piaghe, rinasce una pelle di primavera. Nella salvezza ritrovi la sorgente, tu entri in Dio e Dio entra in te, e fiorisce tutta intera la tua vita

padre Ermes Ronchi

Servi «inutili», che cioè non cercano il proprio utile

Gesù ha appena avanzato una proposta che ai discepoli pare una missione impossibile: quante volte devo perdonare? Fino a settanta volte sette. E sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede, o non ce la faremo mai. Una preghiera che Gesù non esaudisce, perché non tocca a Dio aggiungere fede, non può farlo: la fede è la libera risposta dell'uomo al corteggiamento di Dio.

E poi ne basta poca, meno di poca, per ottenere risultati impensabili: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati...

Qui appare uno dei tratti tipici dei discorsi di Gesù: l'infinito rivelato dal piccolo. Gesù sceglie di parlare del mondo interiore e misterioso della fede usando le parole di tutti i giorni, rivela il volto di Dio e il venire del Regno scegliendo il registro delle briciole, del pizzico di lievito, della fogliolina di fico, del bambino in mezzo ai grandi. È la logica dell'Incarnazione che continua, quella di un Dio che da onnipotente si è fatto fragile, da eterno si è perduto dentro il fluire dei giorni.

La fede è rivelata dal più piccolo di tutti i semi e poi dalla visione grandiosa di foreste che volano verso i confini del mare. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare gelsi e la leggerezza di un minimo seme che si schiude nel silenzio. Ho visto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto imprese che sembravano impossibili: madri e padri risorgere dopo drammi atroci, disabili con occhi luminosi come stelle, un missionario discepolo del Nazzareno salvare migliaia di bambini-soldato, una piccola suora albanese rompere i tabù millenari delle caste...

Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza. Il Vangelo termina con una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene, però: mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi è il nome nuovo della civiltà. Servi inutili non perché non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non cercano il proprio utile, non avanzano rivendicazioni o pretese. Loro gioia è servire la vita.

Servo è il nome che Gesù sceglie per sé; come lui sarò anch'io, perché questo è l'unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.

Inutili anche perché la forza che fa germogliare il seme non viene dalle mani del seminatore; l'energia che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore». (Rumi).

padre Ermes Ronchi

Quanta vita avremo lasciato dietro di noi?

La sorpresa: il padrone loda chi l'ha derubato. Il resto è storia di tutti i giorni e di tutti i luoghi, di furbi disonesti è pieno il mondo. Quanto devi al mio padrone? Cento? Prendi la ricevuta e scrivi cinquanta. La truffa continua, eppure sta accadendo qualcosa che cambia il colore del denaro, ne rovescia il significato: l'amministratore trasforma i beni materiali in strumento di amicizia, regala pane, olio - vita - ai debitori. Il benessere di solito chiude le case, tira su muri, inserisce allarmi, sbarra porte; ora invece il dono le apre: mi accoglieranno in casa loro. E il padrone lo loda. Non per la disonestà, ma per il capovolgimento: il denaro messo a servizio dell'amicizia. Ci sono famiglie che riceveranno cinquanta inattesi barili d'olio, venti insperate misure di farina... e il padrone vede la loro gioia, vede porte che si spalancano, e ne è contento. È bello questo padrone, non un ricco ma un signore, per il quale le persone contano più dell'olio e del grano. Gesù condensa la parabola in un detto finale: «Fatevi degli amici con la ricchezza», la più umana delle soluzioni, la più consolante. Fatevi degli amici donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c'è comandamento più umano. Affinché questi amici vi accolgano nella casa del cielo. Essi apriranno le braccia, non Dio. Come se il cielo fosse casa loro, come se fossero loro a detenere le chiavi del paradiso. Come se ogni cosa fatta sulla terra degli uomini avesse la sua prosecuzione nel cielo di Dio. Perché io, amministratore poco onesto, che ho sprecato così tanti doni di Dio, dovrei essere accolto nella casa del cielo? Perché lo sguardo di Dio cerca in me non la zizzania ma la spiga di buon grano. Perché non guarderà a me, ma attorno a me: ai poveri aiutati, ai debitori perdonati, agli amici custoditi. Perché la domanda decisiva dell'ultimo giorno non sarà: vediamo quanto pulite sono le tue mani, o se la tua vita è stata senza macchie; ma sarà dettata da un altro cuore: hai lasciato dietro di te più vita di prima?
Mi piace tanto questo Signore al quale la felicità dei figli importa più della loro fedeltà; che accoglierà me, fedele solo nel poco e solo di tanto in tanto, proprio con le braccia degli amici, di coloro cui avrò dato un po' di pane, un sorriso, una rosa. Siate fedeli nel poco. Questa fedeltà nelle piccole cose è possibile a tutti, è l'insurrezione degli onesti, a partire da se stessi, dal mio lavoro, dai miei acquisti... Chi vince davvero, qui nel gioco della vita e poi nel gioco dell'eternità? Chi ha creato relazioni buone e non ricchezze, chi ha fatto di tutto ciò che possedeva un sacramento di comunione

Padre Ermes Ronchi

La bella notizia del Signore che va a cercare chi si perde

Un pastore che sfida il deserto, una donna di casa che non si dà pace per una moneta che non trova, un padre esperto in abbracci. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del Vangelo. Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere.
C'era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.
Ecco allora la passione del pastore, quasi un inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie. Se noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all'ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno. Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza. Non traccia consuntivi, ma preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente promossi a uomini.
La pena di un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, lo scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d'oro.
Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.
Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso "crescendo". L'ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti... Da che cosa nasce questa felicità di Dio? Da un innamoramento, come in un perenne Cantico dei Cantici. Dio è l'Amata che gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: «avete visto l'amato del mio cuore?».
Sono io l'amato perduto. Dio è in cerca di me. Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.

Padre Ermes Ronchi

Rinunciare a ciò che ci impedisce di volare

Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù non instaura una competizione di sentimenti per le sue creature, perché sa che da questa ipotetica gara di emozioni non uscirebbe vincitore, se non presso pochi eroi o santi, dalla fede di fiamma. Ci ricorda invece che per creare un mondo nuovo, quello che è il sogno del Padre, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari.
È in gioco un nuovo modo di vivere le relazioni umane: mentre noi puntiamo a cambiare l'economia, Gesù vuole cambiare l'uomo. Lo fa puntando tutto sull'amore, e con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza degli affetti, perché la felicità di questa vita non sappiamo dove pesarla se non sul dare e sul ricevere amore. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non «ama di più». Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un «di più». Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una più grande bellezza. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, non una esclusione ma una aggiunta: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell'arte di amare. Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me... La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare, o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Per cui il vero dramma non è morire, ma non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena spendere la vita. Nel Vangelo la croce è la sintesi dell'intera storia di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. Terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Perché la tua vita non dipende dai tuoi beni, «un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti. Un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). Gesù chiede sì una rinuncia, ma a ciò che impedisce il volo. Chi lo fa, scopre che «rinunciare per Te è uguale a fiorire» (M. Marcolini).

Padre Ermes Ronchi

Indirizzo e contatti

Siamo a Sesto Fiorentino (Fi)

  • Via Antonio Gramsci 691-693
  • +39 055-442753
  • info[at]santacroceaquinto.it

Orari S. Messe

Messa feriale da lunedì a sabato: ore 8:30 ~ 17.30
Messa festiva del sabato: ore 18:00
Messe festive domenicali: ore 8:00 ~ 10:00 ~ 11.30 ~ 18.00

Search

Free Joomla templates by Ltheme